9 dicembre 2018 - 08:20

Prima alla Scala, l’ovazione a Mattarella spacca i gialloverdi e unisce Forza Italia al Pd

La lunga ovazione di quella che un tempo si chiamava «la Milano che conta» verso il presidente della Repubblica viene letta dai più come messaggio anti governativo. Tria: a Milano per misurare l’umore degli imprenditori

di Pierpaolo Lio

 Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella con il Maestro Riccardo Chailly (LaPresse) Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella con il Maestro Riccardo Chailly (LaPresse)
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E siamo a tre. Gli indizi che eleggono Milano a capitale dell’opposizione al nuovo vento populista iniziano a farsi prova. Non c’è solo l’ormai certificata difficoltà dei due partiti del «cambiamento» a sfondare nel voto in città. Negli ultimi tempi i segnali allarmanti per i pentaleghisti si moltiplicano. All’attivismo (e al consenso) del sindaco Beppe Sala, si sono aggiunti prima il discorso alla città dell’arcivescovo Mario Delpini, e venerdì la lunga ovazione di quella che un tempo si chiamava «la Milano che conta» verso il presidente della Repubblica, dai più letto come messaggio anti governativo. Senza contare che mentre la Lega si ritrova in piazza a Roma, e pezzi del grillismo sfilano a Torino con i NoTav, non a caso proprio il capoluogo lombardo s‘appresta giovedì a ospitare il popolo delle imprese per la manifestazione a favore dello sviluppo.

Per la segretaria cittadina pd, Silvia Roggiani sono tutte indicazioni che confermano una possibile riscossa contro la miscela sovranista-populista. E in questa chiave legge gli applausi tributati al Capo dello Stato: «È stato l’aggrapparsi di Milano a una figura di garanzia di valori costituzionali che anche l’arcivescovo ha richiamato nel suo discorso ma che il governo sta mettendo costantemente in crisi». È dello stesso avviso Filippo Barberis, capogruppo dem in Comune: «La città non si rassegna alla mediocrità e alle scelte sbagliate di Roma». La lettura degli applausi a Mattarella unisce Pd a Forza Italia. «Milano non vive di populismo ma di riformismo», conferma Mariastella Gelmini, coordinatrice lombarda azzurra, pensando anche all’appuntamento degli imprenditori: «Qui si cercano risposte costruttive, non si vive di paura e invidia sociale».

In casa Lega e M5s si prova a ridimensionare l’episodio. «Non oso pensare che alla Prima ci fossero solo elettori pd — ribatte il parlamentare salviniano, Alessandro Morelli —. Sono convinto che anche sostenitori del governo abbiano omaggiato il Capo dello Stato». Il consigliere comunale grillino Gianluca Corrado, invece, prende atto della situazione: «Alla Scala c’era l’élite, non gli ultimi. È evidente che quella classe sociale è contro il nostro governo, ma non rappresenta l’intera città né il Paese». Eppure il ministro all’Economia, Giovanni Tria non nasconde che in qualche modo la serata di gala alla Scala fosse anche una sorta di termometro per il gradimento delle mosse del «governo del cambiamento». D’altronde nel foyer si potevano incrociare i pezzi grossi della finanza e dell’industria. Dai presidenti di Assolombarda e Confcommercio, ai vertici di Banca Intesa, Unicredit, Telecom, Brembo, Generali. «È stata un’occasione istituzionale per saggiare il clima di Milano», ha ammesso ieri Tria. «Lì c’è il mondo produttivo e imprenditoriale» e «un clima di attesa» per la manovra che è ora alla prova del Parlamento e giovedì alla prova della piazza.

Comunque sia, Davide Livermore, regista dell’Attila, «se la Prima della Scala genera il rafforzamento del rapporto con le istituzioni, con chi garantisce la Costituzione, io ne sono fiero». «La cultura — ha spiegato — è un argine ai furbetti della politica che devono inventarsi dei nemici. Perché la cultura è militanza, obbliga le persone ad alzare il livello, è cosa diversa dai like facili».

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