15 luglio 2018 - 08:41

L’uomo dalle mille vite, i segreti del gangster siriano ricercato dai pm

Abdul Razzak Barnieh, alias Merzoug, nato ad Aleppo, Siria, nel 1950. Ucciso in una faida nel 1986. I legami con i servizi deviati

di Guido Olimpo

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Un cadavere vicino all’uscita di Montelimar Sud, sull’autostrada francese A7, a Nord di Avignone. Lo hanno ucciso con quattro proiettili alla testa, esplosi da una pistola Python 357. Nelle tasche un pacchetto di sigarette spagnole, 500 franchi, un’agendina elettronica protetta da un codice. Zero documenti. Ci vorrà un po’, ma alla fine la Gendarmeria scoprirà l’identità della vittima, trovata il 4 dicembre del 1986. E si aprirà un mondo nero.

Il morto è Abdul Razzak Barnieh, alias Merzoug, nato ad Aleppo, Siria, nel 1950. Ai più non dice nulla mentre per le polizie di mezza Europa è un pezzo grosso di un network coinvolto in auto rubate, armi e lavori sporchi per servizi segreti. Una rete con radici anche a Milano: infatti un magistrato della Procura lombarda ha un ricco fascicolo sul suo conto e due mandati di cattura. Avrebbe voluto interrogarlo per scoprire altri dettagli su un’organizzazione vicina a un alto esponente siriano riparato nel Vecchio Continente, un esilio dopo una faida per il potere.

Un investigatore dell’epoca ricorda come la banda fosse abile, pronta a tutto, capace di rubare vetture di gran lusso — quasi sempre Mercedes — poi spedite verso il Medio Oriente. Kuwait, Libano, Siria e anche Nord Africa sono gli approdi finali del giro che vanta rapporti — di convenienza — nelle intelligence arabe. I suoi uomini sono disposti a eseguire missioni di qualsiasi tipo.

Lo snodo è la capitale francese Parigi, dove vive con tutti gli onori il referente della gang. Da qui si dipana una ragnatela vastissima, con fili a Marsiglia, Barcellona, Rotterdam, gli scali dalle quali transitano le macchine trafugate, spesso dotate di documenti taroccati dai complici. In quegli anni abbiamo conosciuto uno degli autisti, un italiano che guidava a volte una fuoriserie fino al confine siriano. Poi — diceva — ci pensavano alcuni «amici», funzionari di qualche apparato.

Le principali città europee, invece, sono le riserve di caccia dei banditi, punti dove reperire la «merce»: Milano, Bruxelles e qualsiasi altra località dove gli «esploratori» possano trovare i veicoli più pregiati, poi rivenduti a un prezzo dieci volte superiore. Insieme con il «settore auto», il gruppo agisce nella realtà sommersa dei Mukhabarat, le polizie segrete mediorientali, prestandosi a manovre e colpi di mano, dal trasporto di esplosivi agli attentati. Sono spesso azioni pensate per coprire le spalle ai veri responsabili, con tradimenti e soffiate, tra oppositori, imbroglioni, infiltrati. Guadagnano tanto, pagano anche tanto.

Barnieh non è l’unico a perdere la pelle. Nel settembre dell’85, in un parcheggio di Mentone, fanno fuori l’italiano Giuseppe O.. Un anno dopo i killer eliminano un altro connazionale, Leonardo P., a Barcellona. Persone punite per aver sgarrato, magari perché hanno cercato di arrotondare o perché troppo loquaci. Difficile comprendere se esistanocollegamenti stretti tra gli agguati, ma certo è che il gruppo deve proteggersi, dai rivali e dalla magistratura che, nel gennaio 1986, lancerà una grande retata internazionale, dal Belgio alla Francia. L’inchiesta sul delitto Barnieh ha una svolta — solo apparente — quando le autorità siriane indicano come possibile killer Ziad A. Non è una sorpresa o, forse, sì. L’uomo è noto in Italia come Antonio M., alias Habib Kabbani, figura ambigua: per i tedeschi è uno 007 siriano coinvolto in aggressioni contro gli esuli, per i nostri inquirenti è vicino al Fatah di Yasser Arafat, è stato fermato in Italia nell’82 ed espulso l’anno seguente. Come mai Damasco lo «vende»?

Indiscrezioni sostengono che si tratta di una mossa per mettere nei guai gli esuli ostili al presidente siriano Hafez Assad ospitati a Parigi. Lo scenario è quello di un regolamento di conti tra gangster che bazzicano anche nella nostra città diventata un buon rifugio, un passaggio verso Atene, da qui nelle terre orientali. Appartamenti sicuri e hotel offrono un riparo, i night club sono luoghi svago dopo le scorrerie.

L’affare Barnieh procede, la Scientifica francese decripta la sua agendina elettronica, i numeri portano ad avversari del regime, uomini e donne che risiedono in Europa, identità «pesanti», con conti miliardari, palazzi, ville, limousine. Paravento dietro il quale nascono e muoiono trame, si sviluppano traffici. Il pragmatismo dei governi occidentali lascia fare, certi canali servono a prevenire stragi, a risolvere situazioni complicate. Non solo. Certi dossier possono diventare strumenti di pressione nei confronti degli ospiti: «Sappiamo quello che state facendo, se volete continuare collaborate». Regole non scritte in un’arena dove vale tutto, compresa l’eliminazione fisica di un problema. È quanto accaduto con Abdul Razzak Barnieh. Era diventato ingombrante, hanno deciso di fermarlo prima che potesse parlare. Il viaggio dell’uomo dalle mille vite è finito all’uscita di Montelimar Sud.

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