7 novembre 2018 - 08:00

«Revman», il rapper poliziotto e la foto iconica della madre: «Canto lei e la lotta alla mafia»

Sebastiano Vitale, 28 anni, poliziotto, grazie a «Chi l’ha visto?» ha ritrovato la fotografa Letizia Battaglia, autrice della foto iconica scattata a Palermo nel 1980. La sua musica in gara al concorso per la legalità organizzato da Libera

di Cesare Giuzzi

Sebastiano Vitale, in arte «Revman», 28 anni, e a destra la celebre foto di Letizia Battaglia «La bambina con il pallone», 1980, che ritrae sua madre da piccola Sebastiano Vitale, in arte «Revman», 28 anni, e a destra la celebre foto di Letizia Battaglia «La bambina con il pallone», 1980, che ritrae sua madre da piccola
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Lo sguardo è quello di mamma Catia. Occhi scurissimi, occhi di una bambina diventata icona della Palermo che lottava per sopravvivere. Soffocata dalla mafia che in quell’anno uccideva Piersanti Mattarella, il capitano dei carabinieri Emanuele Basile e il giudice Gaetano Costa, aprendo le porte alla scalata di Riina e dei Corleonesi.

La «bambina con il pallone» era lì, in una piazzetta della Cala, il porto antico. Giocava con due ragazzini. Letizia Battaglia, fotografa che attraverso i suoi meravigliosi scatti raccontò al mondo la mattanza di Cosa nostra, la vide e le chiese di fermarsi davanti a un portone. Quella fotografia dell’estate del 1980 è diventata l’immagine di un’epoca. Uno degli scatti più celebri della fotografa palermitana. Quella bambina era la mamma di Revman. Letizia Battaglia l’ha ritrovata la scorsa primavera, dopo un appello a «Chi l’ha visto?». Revman è il suo secondo figlio. Oggi ha 28 anni e vive a Milano. Indossa una divisa, come il padre Salvatore. E per lui, essere un agente di polizia sembra la cosa più naturale del mondo. Anche se nella sua seconda vita, dove non indossa i panni dell’agente in servizio al commissariato Centro di piazza San Sepolcro, si muove in un emisfero dove — in quasi la totalità delle canzoni — le «guardie» come lui sono insultate e disprezzate.

Perché l’agente Sebastiano Vitale, in arte Revman, è un cantante (e producer) di musica rap. E lo era già quando tre anni fa — con un diploma in tasca e una casa a Toronto in Canada — ha deciso di presentarsi al concorso per un posto in polizia. Quasi un anno di addestramento a Vibo Valentia, in Calabria, poi il primo incarico a Milano. Al rap s’era avvicinato da ragazzino, con gli amici, quando aveva iniziato a ballare breakdance. Il passo successivo è stato un piccolo studio di registrazione nella sua camera di Lecce (dove ha vissuto l’adolescenza) e l’idea di non rinunciare alla sua passione per la musica nonostante il lavoro da poliziotto. «Il rap è musica immediata, dove le parole hanno e devono avere un senso. Io odio gli stereotipi e per me la musica è libera e il rap di tutti».

Gli stereotipi sono le catene che imbrigliano il novantanove per cento degli artisti della scena hip hop italiana e mondiale: una continua e esaltazione della vita «gangsta», da gangster, tra cocaina, soldi e pistole. Una deriva che ha riempito i testi di riferimenti a Pablo Escobar, Al Capone e alla mitologia televisiva di Gomorra. Con un obiettivo comune: le «guardie». Poliziotti, carabinieri, finanzieri, sbirri infami. «Lo so, ma vado avanti. E succede che le critiche arrivino sia al lavoro perché faccio musica rap, sia da chi mi ascolta perché faccio questo lavoro», dice sorridendo l’agente Vitale. La differenza con il mondo «stereotipato» del rap italiano preferisce marcarla con le rime dei suoi testi: «Rifletto un attimo/ e capisco solo adesso/ che devo affrontare le responsabilità che ho/e non potrò/ andare avanti se non vincerò/ le paure che da tanto tempo mi inseguono».

L’ultimo lavoro prende il titolo dall’acronimo «Mclm»: «Una produzione e un video fatti al volo, all’ultimo minuto — racconta —. Perché i termini del concorso scadevano dopo pochi giorni». Lui, che nel testo di The roots si definisce «siculosalentino», non poteva mancare l’appuntamento con il concorso «Musica contro le mafie» organizzato dalla rete di Libera, l’associazione di don Luigi Ciotti. «Ci sono troppe canzoni povere di contenuti. Il rap è un genere che riesce a colpire, va dritto al cervello. È il miglior modo per veicolare un messaggio sulla legalità e la lotta alle mafie. Per me era un obbligo esserci».

Insieme a lui ci saranno (le votazioni online si aprono oggi) altri 343 artisti che hanno scelto il tema della lotta ai clan per le loro canzoni. E qui divisa e musica si fondono in un unico universo: «Ascolta le mie strofe musica contro le mafie/questi fanno i gangsta chiusi dentro le case/tutti rimangono in silenzio quando gli dicono di stare zitti/e per evitare conflitti/ pagano tangenti come affitti». Nel video in concorso c’è una moderna Letizia Battaglia che riprende gli estorsori di un commerciante lungo le strade di una Palermo che somiglia molto a Milano. Dopo l’appello per ritrovare «la bambina con il pallone», l’oggi 83enne fotografa ha voluto incontrare lui e la madre. «È un omaggio a quella foto, a un’epoca di sangue. Spero di trasmettere un messaggio culturale. Il mio compito è anche questo».

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