9 gennaio 2019 - 11:14

Busto Arsizio, due carabinieri indagati per rapporti con la mafia

La Procura di Busto Arsizio ha chiesto il rinvio a giudizio di un brigadiere capo e dell’ex comandante del Nucleo Radiomobile in servizio presso la locale compagnia. Tra le accuse, falsità ideologica e truffa ai danni dello Stato

di Redazione Milano online

Busto Arsizio, due carabinieri indagati per rapporti con la mafia
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Avrebbero avuto per anni rapporti diretti con esponenti delle famiglie mafiose di Gela in Lombardia. La Procura di Busto Arsizio ha chiesto il rinvio a giudizio di due carabinieri (un terzo, indagato, nel frattempo è morto) in servizio presso la locale compagnia: si tratta di un brigadiere capo e dell’ex comandante del Nucleo Radiomobile. I due militari sono anche accusati di falsità ideologica e truffa ai danni dello Stato: avrebbero finto di svolgere servizi di controllo, falsificando i verbali con nomi di fantasia. Non solo, nel fascicolo di inchiesta emergono anche false malattie, falsificazioni di verbali di arresto, divulgazione di immagini non autorizzare, utilizzo privato della vettura di servizio e secondi lavori.

L’indagine è cominciata nell’aprile del 2017 dall’omicidio a Novara di Matteo Mendola, un 33enne di origini siciliane che viveva a Busto Arsizio. Durante l’inchiesta, erano emerse numerose intercettazioni telefoniche tra esponenti legati alla criminalità gelese e i militari indagati.

«Qui stanno cercando di ricostruire tutto, i carabinieri anche, c’ho degli amici a Busto, c’ho un mio amico carabiniere»: questa una delle intercettazioni emerse durante le indagini. I militari indagati, secondo l’inchiesta portata avanti dai loro stessi colleghi, erano soliti dedicarsi a questioni personali o secondi lavori durante l’orario di servizio, e avrebbero dichiarato false malattie per andare in ferie. Per far risultare di aver fatto il proprio dovere avrebbero falsificato decine di verbali di servizio, inventandosi controlli a persone e automobilisti inesistenti e inserendo a caso targhe di auto di proprietà di ignari cittadini residenti nelle più svariate regioni d’Italia.

Non solo: per conto di amici e conoscenti legati alla criminalità gelese, avrebbero controllato nomi e dati sensibili. In una circostanza in particolare, emersa nel corso dell’inchiesta, uno dei militari rinviati a giudizio e il collega indagato nel frattempo deceduto si sarebbero incontrati con un membro della criminalità organizzata andando all’appuntamento in divisa, con tanto di auto di servizio.

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