30 maggio 2018 - 22:33

Salvini, nella Lega critiche alla rigidità su Savona: «Tratti e si vada a governare»

Dai colonnelli ai fan sul web, le prime critiche al «Capitano»

di Tommaso Labate

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ROMA — «Con Cottarelli arriverà la Troika, saremo commissariati», diceva tre giorni fa il leghista Luca Zaia. Ieri, dopo l’incredibile sequenza di colpi di scena, il dito sul pulsante start dell’esecutivo guidato dall’ex responsabile della Spending review di Palazzo Chigi ce l’ha Matteo Salvini. Proprio da lui, dal nemico per eccellenza dei tecnici e (Paolo Savona a parte) dei professoroni, dipende il varo dell’esecutivo del presidente che accompagnerebbe al voto alla fine dell’estate. E proprio l’azzardo sul voto anticipato, sulla «gallina domani» che sondaggi alla mano il segretario del Carroccio sente nel carniere, sta mettendo ansia al gruppo dirigente leghista.

Apertamente non ne parla nessuno. Né tantomeno l’uscita di Zaia, che ha attraversato lunghi periodi di reciproca diffidenza con Salvini, può essere archiviata come posizione eterodossa. Ma all’interno dei gruppi parlamentari della Lega e nelle roccaforti del Nord Italia, la scelta di giocarsi il tutto per tutto a nuove elezioni viene vissuta con apprensione come quella registrata ieri pomeriggio dall’agenzia LaPresse a Montecitorio durante un faccia a faccia tra Gianmarco Centinaio e Roberto Calderoli. «Chiedete a Salvini», risponde il primo quando gli chiedono se c’è l’ipotesi di rinunciare a mandare Savona al ministero dell’Economia. «Che è in giro a fare comizi», aggiunge in calce il secondo.

Sia chiaro. Nessuno all’interno della Lega si spinge fino al dire urbi et orbi quello che soltanto Umberto Bossi ha messo a verbale ieri pomeriggio: «Fossi stato in Salvini, su Savona avrei mediato». Come nessuno si sogna di mettere in discussione apertamente le mosse del segretario federale, visto che elezioni e rilevazioni demoscopiche stanno dalla sua. Ma la scelta di precipitare verso elezioni anticipate fa paura a tanti. Dentro il Palazzo e anche fuori.

Basti guardare ai commenti dell’ultima diretta da Imperia trasmessa su Facebook da Salvini ieri, proprio nel momento in cui Luigi Di Maio varcava le soglie del Quirinale per tentare di togliere il lucchetto dall’operazione del governo gialloverde. Solitamente, nelle reazioni dei follower, è tutto un profluvio di peana al «Capitano» (la definizione del suo uomo-social Luca Morisi è diventata d’uso comune, tra i fan leghisti). Ieri, invece, il segno era opposto. «Matteo, basta con la campagna elettorale. Vai a Roma a governare», scrive Paolo. «Basta attendere altri quattro mesi e ricominciare tutto daccapo», annota Roberto. E ancora. «Fate partire questo benedetto governo. No governo tecnico, no elezioni» (Ombretta), «Se voti la fiducia a Cottarelli anche solo per ottenere le votazioni, perderai la credibilità che ti sei guadagnato in questi mesi» (Lu Jovi), «Cosa fai ora? Allora è vero che non vuoi governare?» (Noemi). Una muraglia telematica, che ovviamente non ha valore né statistico né politico. Ma che rappresenta un sentimento, diffuso anche in quel Nord che faticherebbe a digerire una nuova campagna elettorale contro l’euro e l’Europa.



Certo, i sondaggi fanno gola. E spesso, soprattutto se corretti, fanno male. Quando Renzi decise di personalizzare il referendum sulla Costituzione, i «sì» avevano quasi venti punti di vantaggio. E s’è visto, in pochi mesi, com’è andata a finire.

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