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Roberto Franceschi 50 anni dopo, Sergio Cusani: “Era accanto a me sentii le pallottole vicino all’orecchio”

Roberto Franceschi 50 anni dopo, Sergio Cusani: “Era accanto a me sentii le pallottole vicino all’orecchio”
(fotogramma)
Intervista all'allora responsabile del collettivo universitario della Bocconi
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Sergio Cusani, lei era vicino a Roberto Franceschi quando la polizia sparò. E si salvò per un nulla.
"Non era il mio momento. Mai sentito un fischio così forte, erano le pallottole vicino all'orecchio. Correvo abbassando la schiena, per istinto".

Accanto a lei i proiettili colpirono.
"Eravamo io, Roberto Franceschi alla mia destra, e Roberto Piacentini, un operaio della Cinemeccanica, alla mia sinistra. Chiudevamo la fila degli studenti davanti alla carica della polizia. Cadde l'uno e poi l'altro. Me ne accorsi quando arrivai al pensionato".

Roberto, morto di Stato

Passo indietro. Come cominciò questa storia?
"Ero il responsabile del collettivo alla Bocconi, unica università a Milano rimasta aperta alle assemblee. Facemmo richiesta per organizzarne una con gli operai della Om, una grande fabbrica che stava per chiudere. Fu autorizzata, eravamo tranquilli".

E invece?
"Ci accorgemmo che la polizia sbarrava l'ingresso a chi non era della Bocconi. Centinaia di persone. Era il Terzo Celere usato per l'antisommossa. Un fulmine a ciel sereno. La responsabilità fu del rettore Giordano Dell'Amore, grande elemosiniere della Dc, agli ordini del prefetto Mazza. Poteva rifiutarsi di far schierare la polizia. Noi quella sera provammo a parlare, a cercare qualcuno, ma non ci fu modo".

Chi attaccò per primo?
"La Celere stava per caricare. Era evidente. Qualcuno, per coprire la ritirata, lanciò un paio di molotov e una finì sul tetto in tela di una jeep. E a quel punto la tragedia. Spararono ad altezza d'uomo, tanto che poi trovammo i fori sulla portiera di una Cinquecento blu parcheggiata. Fu terribile. Una violenza inutile".

Quando capì che avevano centrato il suo amico?
"C'era grande confusione, mi fermai per organizzare le persone che dovevano andare via. Molti erano nel pensionato. Poi andai a cercare Roberto ma a quell'epoca non c'erano i telefonini. Qualcuno ci disse che lo avevano portato al Policlinico. Lì ci informarono che lo avevano colpito alla nuca, proprio all'altezza del pullover alto, col risvolto chiaro che si vedeva perfettamente quella notte. Fu un bersaglio".

La vostra reazione quale fu?
"Ci fu una mobilitazione pazzesca, al funerale vennero 150 mila persone. L'indomani mattina andai con altri compagni dove Dell'Amore stava facendo lezione. E lo cacciai. Gli dissi: via, non si faccia più vedere. Tornò al Rettorato e lo cacciammo anche da lì. Cosa costava a loro farci fare quell'assemblea? Fu una cosa da Sudamerica, una violenza senza giustificazioni".

Lei vide chi sparò?
"Osservai questo funzionario col cappotto, in piedi sulla pedana per i vigili al centro dell'incrocio. In posizione ideale per chi sa maneggiare le armi. Ero convinto fosse lui. Ma poi lo assolsero".