“Indagare le stragi nazifasciste in Italia,
il mio impegno contro l’indifferenza”

C’è un ostacolo, angosciante e radicato, che il magistrato Marco De Paolis si è trovato a sormontare nella sua attività di indagine sulle stragi nazifasciste in Italia. Un ostacolo che risponde al nome di “indifferenza” e che è stato, nel dipanarsi della sua attività, una presenza “quasi totale”, un vero e proprio “macigno”.
È stato De Paolis stesso a confessarlo, nel corso della presentazione del libro per ragazzi “L’uomo che dava la caccia ai nazisti” (ed. Piemme) scritto insieme ad Annalisa Strada e dedicato ai 17 processi che è riuscito a istruire e alle 57 condanne all’ergastolo di militari tedeschi ottenute. Un libro per le nuove generazioni, affinché non si dimentichi il passato e fiorisca, da esso, una più solida consapevolezza. Il procuratore generale militare alla Corte d’appello di Roma, premiato di recente con l’Ordine al merito della Repubblica federale tedesca, ne ha parlato al Centro Bibliografico dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane su invito di UCEI e Fondazione Museo della Shoah. Un’occasione per fare il punto sui risultati raggiunti e il loro significato. Ad intervenire, moderati dalla responsabile UCEI per Antisemitismo e Memoria Sira Fatucci, l’assessore alla Comunicazione dell’Unione Davide Jona Falco, il giornalista Paolo Borrometi e la storica Isabella Insolvibile.
“Non basta essere un magistrato esperto, per ottenere certi risultati ci vogliono sia forza che coraggio. Il coraggio di sapere che si sfidano determinate regole e meccanismi di silenzio”, l’apprezzamento all’azione di De Paolis manifestato dalla presidente UCEI Noemi Di Segni in apertura d’incontro. Un’azione di natura anche etica “al servizio dello Stato, delle persone, della Memoria”. Per Mario Venezia, presidente della Fondazione Museo della Shoah, a rendere speciale l’impegno dell’autore “è stata la passione”. Una qualità “messa in campo nel rispetto della legge” e che segna anche le pagine di questo volume per le nuove generazioni che, è stato annunciato, andrà ad animare la seconda edizione del Social Book Club promosso dalla Fondazione.
A proporre un inquadramento storico sugli eventi approfonditi da De Paolis è stata poi Insolvibile. Le stragi nazifasciste, ha documentato la studiosa, “hanno travolto una quantità di inermi infinita; oggi sappiamo che i morti furono all’incirca 25mila e 6mila gli episodi disseminati su tutto il territorio nazionale”. Vicende sulle quali il libro fa chiarezza, “decostruendo miti come quello sugli ‘italiani brava gente’; gli italiani furono infatti complici, delatori e collaborazionisti sotto vari aspetti”. A rilevare la qualità di questo testo anche l’assessore Jona Falco. “Il popolo italiano – le sue parole – è un popolo distratto, che si appassiona alle storie individuali, ma che è spesso incapace di comprendere il senso profondo della Storia”. Fondamentale diventa pertanto l’apporto di figure come De Paolis, esemplari nel loro agire in controtendenza “in una società malata e incapace di fare i conti con il passato”. Anche guardando alla realtà delle stragi “nazifasciste, che non furono né solo nazi e né solo fasciste”. Un’incapacità con un riverbero attuale testimoniato anche “da una giustizia che appare incompleta e tardiva”. Prova ne è il fatto, è stato detto, “che alcune vittime delle leggi razziste non ricevono le benemerenze loro spettanti”. Il tema della “ricerca della verità” è stato tracciato anche da Borrometi, attuale vicedirettore dell’Agi, secondo il quale in Italia tale esercizio sarebbe “complicatissimo”. Una società, il suo pensiero, che è nel suo insieme “molto più che malata se una testimone della Shoah come la senatrice a vita Liliana Segre è costretta a vivere sotto scorta”.
L’evento si è concluso con alcune riflessioni di De Paolis. “Ho dedicato a questo impegno 18 anni di attività giudiziaria. Un percorso professionale diventato un percorso etico e il cui significato l’ho colto più dopo che nel mentre”, ha tra l’altro affermato. Indifferenza, un tema ampio. Anche nel rapporto con vittime, sopravvissuti e parti civili c’è stato, ha ammesso, “una comprensibile ritrosia da parte di chi non credeva più nella giustizia”. La serietà del lavoro svolto ha fatto sì che, nel tempo, questo gap venisse colmato. E che alcuni sopravvissuti si facessero avanti, anche in sede giudiziaria, “per raccontare la nostra storia un’ultima volta, perché è giusto farlo”. Tra i molti incontri di quegli anni, De Paolis ha ricordato un colloquio con il rabbino Elio Toaff che fu tra i primi partigiani accorsi a Sant’Anna di Stazzema nelle ore successive all’eccidio. In una intervista dirà: “Penso spesso a Sant’Anna, con tutti i suoi poveri morti”.