Paolo Cirino Pomicino: «Ho visto la morte, ma sono stato salvato. Ho sempre accanto a me una statua di Gesù bambino»

diSimona Brandolini

L’ex ministro: «Per una polmonite no Covid ho avuto difficoltà respiratorie. La terapia intensiva? Una prigione vietnamita»

«Nonostante tutto il corredo delle vaccinazioni, contro lo pneumococco, contro il Covid, contro l’influenza, ho avuto una polmonite no Covid che mi ha portato con difficoltà respiratorie al ricovero e in terapia intensiva. La terapia intensiva…. Una prigione vietnamita. Ma ti salva la vita». Paolo Cirino Pomicino è del ’39. Democristiano navigato, ex ministro e presidente della commissione Bilancio, diventato una sorta di saggio Cassandra: da anni dà consigli alla nuova politica, il più delle volte inascoltato. Dice di avere «dimestichezza con la morte». Effettivamente l’ha scampata anche stavolta. Quello che segue è un inedito racconto di un Pomicino eduardiano, più che sorrentiniano.

Questa volta la polmonite, ma lei ha anche avuto due trapianti.
«Avevate i coccodrilli pronti eh? Allora: due trapianti, più due bypass uno a Londra, l’altro a Houston. Più due altri piccoli interventi tra cui una colecistectomia».

Piccoli per lei.
«Per me, sì. E due durissime polmoniti, una ora con un ricovero al Gemelli e l’altra l’anno scorso, un mese alle Molinette. Più un tumore cutaneo con conseguenti 35 sedute di radioterapia. Devo dire che ho veramente visto da vicino il Dio manzoniano, che ti affanna e ti consola. Una cosa che mi ha molto legato a un Gesù bambino che ha cento anni di vita ed è con me nella stanza da letto e che spesso mi sono portato nelle terapie intensive. Quando deve accadere qualcosa le sue vesti odorano di incenso. Qualcosa di prodigioso».

Lei è un medico, cosa ha capito del suo corpo? Della sua resistenza?
«Una comprensione medica non l’ho trovata. La mia famiglia è stata massacrata dalla morte. Sono l’ultimo in vita di sette fratelli e non ero l’ultimo. Il mio secondo fratello è morto a 33 anni, Bruno a 45, il primo a 53 e l’ultimo, il più piccolo, Lucio a 72 anni. Oltre alla mia unica sorella che ci ha lasciati l’anno scorso per un tumore. Ho capito che nostro Signore ha deciso così. Non sono più forte. I miei fratelli sono morti con una sola malattia. Io ho avuto sempre il coraggio, la fortuna, e forse una protezione particolare, di andare avanti. Ho avuto un trapianto renale senza mai correre il rischio di andare in dialisi. Non c’è un elemento medico».

Se non c’è quello medico, allora c’è l’elemento umano?
«Sì, credo di avere sulle spalle tantissimi obblighi, perché sono rimasto l’unico e se nostro Signore ha la saggezza di lasciarmi in vita è un segno che c’è un motivo. Ed è l’obbligo verso la mia famiglia e i figli dei miei fratelli che hanno perduto i padri e la madre».

Essere credenti è una consolazione?
«Certo, ma la religione non è l’oppio dei popoli. Nostro Signore è presente anche in queste prove, ma naturalmente a lui si fanno domande spesso senza risposta. Se uno cerca risposte razionali non le trova. E lì scatta la fede».

E il suo Gesù bambino prodigioso?
«Gli parlo e mi risponde. Con le idee che mi arrivano. Con segnali come quello dell’odore di incenso quando deve capitare qualcosa».

La sua immagine pubblica è di un politico sfacciato, in quella privata si commuove spesso. È l’età?
«Chi è impudico deve avere qualcosa in più che non si vede e che gli consente di essere sfacciato. Sa quando si è rafforzata la mia fede? Quando finì mio fratello Mariano, con un tumore celebrale, andai a comunicarlo a mia mamma, che era devota alla Madonna di Pompei, guardò il quadro e le disse: io non ti capisco ma te lo affido. È questo l’elemento di fondo. Alla mia età, poi, si è anche molto attenti al dolore del mondo. Un mondo ricco di pianto e dolore, incomprensibile. Siamo una generazione cresciuta senza vedere, per 70 anni, una guerra in Europa. Abituati ad un benessere che è l’assenza di un dolore improvviso e senza speranza. Altrove ci sono sofferenza e miseria endemiche».
 
Dopo il Covid tutti, nessuno escluso, a dire: bisogna investire nella sanità. A conti fatti, e in base alla sua esperienza, come sta la sanità italiana?
«Malissimo: la prima cosa è stata quella di ritenere, nell’87, utile il numero chiuso nelle università. Idea che si basava su un tempo in cui si sfornavano troppi medici. Già a metà degli anni ‘90 le previsioni erano diverse. Bisognava prenderne atto. Poi ci sono stati tagli strutturali importanti e nessun grande intervento infrastrutturale. L’ultimo lo feci io da presidente della commissione bilancio: 20 miliardi sull’edilizia ospedaliera, che ancora oggi vengono utilizzati perché non sono stati tutti spesi. La sanità colpisce le persone, i sentimenti, la vita. Non si può lesinare. Senza contare che abbiamo proletarizzato i medici».

Un’ultima domanda: da cattolico cosa pensa di una legge sul fine vita?
«Non abbiamo verità per salvare le anime quando il corpo è perduto, ma quando queste non ci sono l’unica risposta umana resta la carità, un’immensa, generosa carità alla quale anche il legislatore forse potrebbe ispirarsi. Bisognerebbe indicare un percorso possibile quando si è dinanzi al “dolore innocente”. Un perché senza risposta alcuna, insomma quel “non ti capisco ma te lo affido” della mia cara mamma».

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30 dicembre 2023 2023 ( modifica il 2 gennaio 2024 2024 | 15:53)