Napoli

Quei sette ragazzi coraggiosi e il mistero della vocazione

Riflessioni

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Sette giovani della nostra città, domenica scorsa, sono diventati preti. Una notizia che non fa notizia per chi nella Chiesa cerca solo scandali, per chi non si accorge che ancora c’è chi prova a fare della sua vita un’offerta. Sette giovani contro corrente che non troveranno una Chiesa trionfante, ma un campo scosceso, arido da arare, in un tempo in cui annunciare la fede resta un’impresa titanica. Essere prete, essere uomo.

C’è ancora chi ci crede, chi pensa che la sua vita possa essere offerta per una causa. So che risulta difficile scrivere di tale argomento, meglio sarebbe trattarlo nelle mura chiuse di una Chiesa, ma credo che sia giusto che l’opinione pubblica, quella che sembra per lo più interessata solo dai fallimenti e dalla rovina di un clero corrotto, di pedofilia e imbrogli, sappia che Dio, per chi ci crede, ancora chiama.

Ancora esistono e resistono giovani uomini che, malgrado la vicenda umana di una Chiesa incrostata di passato malato, sognano di essere servi d’amore, progettano per loro e per i fratelli un mondo migliore e sono disposti a lasciare tutto per trovare ogni cosa. La vocazione è un mistero: Dio chiama, per chi crede è così. Una convocazione a fare quattro passi con il Padreterno, impossibile da resistergli.

Dio ti chiama, una grande scommessa sulla tua vita, una grande gioia di sicuro e nello stesso tempo una grande sfida. Un richiamo irresistibile, il Suo, al quale tu irresistibilmente vorresti resistere: alla fine, vince Lui. Non è un’adunanza allegra e felice, ma è una lotta; perché una chiamata al sacerdozio è anche una reale, convinta scelta che cambia definitivamente anche la tua stessa natura; non è una semplice e allegra adesione; è invece una continua richiesta fatta a te stesso di adeguamento a quella proposta. La vocazione non è un angelo che ti bussa alla porta e ti dice: “Tu ti devi fare prete!”, non avviene così. Non fai un sogno, non hai visioni, non cadi da cavallo come l’apostolo Paolo. La vocazione è qualche cosa che senti urgente e insostituibile, impossibile non rispondere.

Ed essere prete è un viaggio come la vita, fecondo incontro con una scelta che ti cambia ma non ti sevizia, che se resti uomo, se non ti lasci sedurre dalla carriera, dal potere, dal servilismo squallido e blasfemo, se mantieni salde le redini della tua origine, delle tue radici, ti consegna ali per volare, per dare senso alla tua e alla vita di chi ti fai servo.

Un percorso dell’anima che si compie dentro di te per trovare il coraggio di guardare negli occhi il senso ultimo dell’esistenza, senza mai abbassare lo sguardo. È un lungo cammino che si condivide con i fratelli alla ricerca della tenerezza delle piccole cose, dei valori veri che rendono l’uomo umano. È un inno alla vita, all’Amore motore dell’universo, che colora il futuro di ottimismo e di speranza; è il risveglio della coscienza che riesce a orientare anche quando intorno è buio. È la ricerca della verità che si snoda nel quotidiano in un susseguirsi di pensieri che, giorno dopo giorno, scavano nel profondo e incoraggiano a intraprendere il viaggio della vita con la libertà del pensiero per riscoprire, al di là di ogni inganno, la forza della giustizia e della carità, dell’amicizia e della lealtà, e guardare il mondo con gli occhi dell’innocenza. Perché il cielo dentro è per chi sa volare alto. Non è poesia, è rischio di parole che dovrebbero essere ordinario bagaglio di chi fa del Vangelo il proprio linguaggio.

Quanti, come i sette giovanotti consacrati preti domenica, ancora rischiano l’assurdo per la loro fede, mentre avrebbero potuto fare altro nella loro vita e di sicuro avrebbero fatto bene, sono uomini che hanno il coraggio di dare ai loro sogni un corpo, una storia, una resistenza di parole che durano.

Non sarà facile la loro vita, non sarà facile conservarli i sogni. Spesso proprio la Chiesa che li ha accolti sarà la loro nemica, avversa ai progetti d’amore. Ma c’è un segreto per resistere alla parola d’inciampo. Il prete nasce all’interno di una comunità, ci sta dentro, anche se in essa è chiamato alla più difficile delle responsabilità: quella di essere guida. Il dramma è quando si sente al di sopra. Il peggio è quando le resta solo di fronte.

Una Chiesa verticista è una Chiesa assolutamente anticristiana. Una Chiesa di capi e di sottoposti è una Chiesa anticristiana. Con i piedi ben saldi nella storia e proteso verso il cielo delle future speranze si è preti veri solo se si è per gli altri strumento e per se stessi uomini docili di verità, coraggiosi di sogni. Non me ne vogliate se questa domenica vi ho costretto a quattro chiacchiere fuori onda, ma lo dovevo a quei sette ragazzi a cui anche chi non crede dovrebbe dire grazie.