Napoli

Il Pd e il caso Napoli, prima sfida per Zingaretti

Luigi Labruna 
Refole
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Tutto potevo pensare nello scrivere la Refola di lunedì scorso ( Zingaretti non sciupare la nostra fiducia)
tranne che martedì il Tribunale di Napoli annullasse le elezioni per il direttivo provinciale Pd tenutesi nel 2017.

Attestando, così, con una sentenza esecutiva, la “vitale necessità” per la sopravvivenza qui da noi del Pd (e per la credibilità della nuova segreteria) che Zingaretti, da ieri ufficialmente in carica, si affretti ad accogliere l’invito formulato in quel corsivo di intervenire su Napoli con decisione e durezza.

Senza compromessi. Ricorsi a bilancini, cedimenti o riguardi per nessuno. Non per gli avversari, qui ancora potenti, ma neppure per i suoi fan, veri o d’accatto, coinvolti nella triste vicenda o partecipi in posizioni di rilievo della tormentata vita del Pd a Napoli e dintorni in questi anni.

Insisto: si informi. Ragioni. Trovi, qui o altrove, una personalità, se possibile giovane. Colta. Diritta.
Sobria nei costumi. Adusa ai valori democratici. Abituata ad affiancarsi seri “vice” e collaboratori. Efficiente nell’organizzare. Capace di parlare alla gente comune dei centri e delle periferie. E alle élite.

Ai giovani. Ai disoccupati. Ai nuovi poveri. Ai pensionati indigenti. Ai lavoratori e agli imprenditori del Sud. A quel che resta della borghesia. Agli intellettuali non asserviti. E nomini subito il prescelto o la prescelta, con i vice, commissario con pieni poteri e per il tempo necessario, a Napoli, provincia e Campania.
Azzerando tutta l’impalcatura di partito esistente, che appare, qual è, una imago sine re. Un guscio vuoto. Un apparato senza spessore, per lo più rassegnato allo sfinimento della politica.

Imbelle, sì da non esercitare nessuna, neppure flebile, opposizione al Comune e alla dissipatrice Città metropolitana.

Con una nomenclatura imposta – per lo più attraverso faide, liti, ritorsioni, contrasti mutevoli raramente ideali e quasi mai politici – da saldi aggregati tribali o da manipoli occasionali tipo De Luca - Oddati - compagni versus Topo - Casillo - Costa. Che, litigando nel 2017 su irregolarità e brogli nella formazione delle liste elettorali e nelle grottesche elezioni ora cancellate dal giudice, hanno innescato l’ultimo dei mortificanti interventi, nelle vicende Pd, della magistratura.

Che (ricordate?) si era dovuta occupare, ad esempio, delle fasulle primarie a candidato-sindaco da contrapporre al trionfante de Magistris nelle ultime elezioni comunali, condannando esponenti di spicco del comitato elettorale della onorevole Valente per sconcezze e irregolarità varie compiute e accertate.
“ Hic Rhodus, hic saltus!” (“Qui siamo a Rodi, e qui salta”) verrebbe da dire a Zingaretti. La sfida, ardua, non la si può perdere. Non bastano parole, incontri e belletti. Il suo partito, infatti, nel quale è riposta, nella disgraziata situazione presente, qualche residua speranza di ripresa della democrazia, è giunto davvero qui all’ultima spiaggia. Al di là v’è il baratro. E una clamorosa débâcle per la nuova segreteria e per quanti l’hanno voluta.