Napoli

Pd, Primarie per la Regione

Il commento

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Con l’insediamento di Nicola Zingaretti si apre ufficialmente il "new deal" del Partito Democratico. A dire il vero, in questi mesi di campagna per le primarie, il cambiamento si è più avvertito in termini di diversità caratteriale con Matteo Renzi, che di sostanza politica.

Più pacato, meno aggressivo, meno carismatico e più saldamente ancorato alle culture politiche del Novecento, Zingaretti ha dalla sua una storia che riconosce e valorizza il partito come strumento centrale della lotta politica.

Da lui, perciò, non era lecito attendersi uno strappo in termini di riferimenti culturali. E, difatti, ha usualmente citato Moro e Gramsci. Come se non ci fosse stato altro che la Dc e il Pci. Vecchio vizio di origine del Pd. Tuttavia, il vantaggio di Zingaretti è che potrebbe essere un vero segretario. Quel che Renzi non è stato. Concentrato sul come arrivare a Palazzo Chigi, nella presunzione di potere, da lì, cambiare il Paese, si è scontrato con un’Italia molto più complessa, conservatrice, fragile, demotivata, stanca di quel che pensasse.

Non è bastata la sua inesauribile energia e qualche segno più negli indicatori economici. Renzi non ha voluto vedere la grave depressione umana, sociale ed economica che dieci anni di crisi hanno prodotto nel Paese. Un errore tragico che gli è costato tutto. Ma è già ripartito.

Zingaretti, di contro, apparentemente non avendo velleità di premiership, potrebbe dedicarsi al Pd. Non completamente, dovendo continuare il suo impegno alla Regione Lazio. E questo è un limite. Ma dovrà, comunque, cambiare lo statuto, le modalità di selezione dei dirigenti, riorganizzare la macchina in termini di efficienza e partecipazione.

E dovrà sradicare a fondo i vecchi vizi di un ceto politico rinsecchito che ha come solo e ultimo fine la conservazione del proprio status. La nuova Direzione, in verità, tradisce per buona parte queste aspettative. Scorrono i soliti nomi e, soprattutto in Campania, riaffiora un passato che sembra tornare ciclicamente e che si ripropone, sempre uguale, pronto ad un nuovo giro di valzer.

Non è un caso che la nomina della competente e appassionata Aureliana Natale sia stata quasi sottaciuta, se non mal digerita. Tuttavia, Zingaretti pare stia dando qualche segnale di apertura. In particolare, attribuendo la possibilità ai non iscritti di sedere negli organismi dirigenti. Sul resto, naviga a vista.

Alleanze, connotazione caratterizzante, formazione delle liste rimangono nel buio totale. Zingaretti sembra procedere assestando un colpo al cerchio e uno alla botte, nella vana speranza di tenere tutto insieme. I Sì tav, gli europeisti, la sinistra radicale, Calenda, Liberi e Uguali, i comitati civici e chi più ne ha più ne metta. Ma tutto insieme non ci sta. Non c’è più il maggioritario e nemmeno il bipolarismo a giustificare un partito omnicomprensivo. Sarebbe forse più utile che le diversità emergessero con nettezza, anche in una pluralità di posizioni. E, alla fine, così andrà.

Per finire, Napoli e la Campania. Qui, gli è tutto da rifare. Il Pd è ridotto ai decimali e a Napoli si appresta a nominare l’ ennesimo commissario, dopo il triste calvario del congresso e dei tribunali. Non cambierà nulla. Però una lezione può trarsi. L’elezione di Zingaretti dimostra che le primarie rappresentano sempre una iniezione di fiducia per il partito, gli elettori e i militanti. Andrebbero svolte anche per le prossime scadenze. Di certo con largo anticipo e non il giorno prima delle elezioni. Zingaretti dovrebbe imporle sia per il comune di Napoli che per la Regione Campania. Lo stesso De Luca potrebbe trarre vantaggio e forza da una nuova legittimazione. Sempre che ci sia qualcuno che abbia l’ardire di sfidarlo.