Napoli

Salvini e Di Maio, appello di Mancuso: "Un fronte contro i nuovi barbari"

L'ex magistrato: "L'Italia corre un rischio reale, è l'ora di una mobilitazione"
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C'è stato un tempo in cui lo spirito democratico del nostro popolo ha spinto l'Italia verso un progresso civile che non era certo nelle corde della maggioranza politica che lo guidava.

Penso agli anni 70-80, in cui, pur dilaniata da quella che qualcuno ha definito "una guerra civile a bassa intensità" (terrorismi rosso e nero, servizi deviati, terribili stragi, massonerie occulte e lobbies clandestine e potenti) il nostro Parlamento ha approvato leggi che ne hanno definito la cifra democratica, fino ai nostri giorni (penso a quelle sull'equo canone, sul divorzio, sull'interruzione della gravidanza, allo Statuto dei lavoratori ed al nuovo rito del processo del lavoro, solo per ricordarne alcune).

In quella difficilissima temperie, fu la sinistra storica (il Pci per dirla in breve, ma c'era anche altro) che seppe interpretare gli umori, le aspettative, le ansie degli italiani "costringendo" le rappresentanze maggioritarie (l'asse Dc-Psi, con una Chiesa ancora schierata su un franco anticomunismo, ma in contraddizione con movimenti cattolici sempre più dinamici) a superare le proprie zavorre conservatrici.

Quella stagione è finita con la cosiddetta Prima Repubblica, quando l'avvento di Silvio Berlusconi, e la morte dei partiti di massa hanno interrotto la comunicazione fra il popolo e le sue rappresentanze politiche: la selezione per cooptazione, dall'alto, che da questi due "fenomeni" è stata determinata (con processi diversi, che qui non è il caso di esaminare) ha determinato l'inaridimento di quelle straordinarie radici e la creazione di una classe dirigente in politica sempre più autoreferenziale e quindi sentita dal popolo come corpo estraneo.
Saltando, in questa in verità ben approssimativa riflessione, al giorno d'oggi, dobbiamo riconoscere, semplicemente, che è stato negli ultimi anni sprecato un momento in cui, con una maggioranza ben al di là dei propri meriti politici, quel centrosinistra ha avuto davvero quattro-cinque anni in cui avrebbe potuto (con maggioranza parlamentare, pace sociale e consenso mediatico ed intellettuale che la favorivano) spostare decisivamente l'equilibrio civile ed economico del Paese.

È cosi che assistiamo in questi ultimi mesi ad una chiara e riconosciuta incapacità della sinistra - divenuta nel frattempo centro-sinistra - non solo di tradurre politicamente le spinte di un mondo progressista ed europeista, che in Italia non può esser scomparso, ma anche semplicemente di rappresentarlo efficacemente, di renderne puramente visibile l'esistenza.

Di qui le esortazioni e le analisi e le proposte di intellettuali (voces clamantes in un deserto politico agghiacciante) che, sostituendosi ad una classe dirigente ormai inestricabilmente avvitata su se stesse e sulle proprie misere scaramucce, hanno ridotto all'afasia, e quindi all'irrilevanza, il popolo democratico.

Quel momento dunque è passato, ed oggi - nella pari irrilevanza cui è costretta la destra berlusconiana, ormai da considerare "moderata" e quasi "liberale" - si fronteggiano e collaborano alla guida del Paese due movimenti.
L'uno, quello guidato dalla Lega (ormai ben più che un partito, ma, appunto, un movimento che rappresenta crescenti masse popolari), che basa la propria politica su una demagogica campagna sulla paura del diverso e sul vecchio slogan "law and order", legge e ordine, si muove perfettamente a proprio agio sul terreno della comunicazione politica, condotto in maniera astuta quanto cinica da un vecchio professionista come Salvini.

L'altro, il Movimento Cinque Stelle, prigioniero della crescente divaricazione fra fedeltà ai propri slogan ed irrealizzabilità pratica dei propri programmi e delle proprie promesse, rimane incerto e balbettante, ed appare ormai privo di una reale consistenza politica, a guida dilettantesca, come stanno dimostrando già questi primi mesi di esperienza di governo del Paese.

Ma guardandoli più da vicino, questi due movimenti, ancora più gravi appaiono i pericoli che dalla loro fusione governativa (qualcuno parla ormai di una "Lega a Cinque stelle", come del futuro partito egemone) si stanno profilando.
(ansa)
Per quanto riguarda il movimento di Beppe Grillo, ormai in caduta libera, abbandonato a sinistra dai delusi dalla crescente trazione leghista, e a destra da chi preferisce l'originale alle imitazioni, è lo stesso obiettivo fondamentale, la sua essenza politica che costituisce un pericolo per la democrazia mai abbastanza denunciato.

La pretesa ricorrente di abbandonare la democrazia rappresentativa per quella diretta, dove "uno vale uno", e le scelte che si compiono su "consultazione elettronica", rappresentano la sfiducia nella possibilità che le rappresentanze scelte dagli elettori possano svolgere il ruolo di una classe dirigente, che è quella di portare il Paese avanti, spingendolo verso miglioramenti civili ed economici che derivano da scelte che richiedono professionalità e competenze.

Se "uno vale uno", non c'è spazio, appunto, per professionalità e competenze, ma sono destinati a prevalere umori di pancia, paure e campagne demagogiche. E così, anche sprovveduti dilettanti si possono illudere di poter governare un Paese.

Ancora più gravi i pericoli che derivano dalla destra nazionalista di Matteo Salvini, impegnata in una battaglia sempre più francamente vile e razzista, che il ministro dell'Interno (!) sta conducendo sulla pelle di alcune centinaia di migranti, e che sta non solo spostando i consensi elettorali, ma inquinando lo stesso spirito democratico del Paese: se guardiamo a tre milioni di "followers" entusiasti che lo hanno applaudito quando ha ricevuto l'informazione di garanzia per gravissimi reati e ai "bagni di folla" che producono i suoi tour, e al linguaggio pre-politico ed anti-istituzionale che utilizza (come osservava ieri Carofiglio), non possiamo che concludere che la sua posizione razzista rappresenta una vera e propria nuova barbarie, un millennio e mezzo dopo le calate che sconvolsero l'Italia.

(E mi sia consentita una divagazione: quanto meno centrate e moderne, rispetto a quanto oggi sarebbe necessario, sono le proteste dell'Associazione nazionale dei magistrati, l'Anm, il cui presidente ricorre ancora a valori fondamentali ma oggi non adeguati allo scontro in atto, poiché non appare in pericolo l'indipendenza della Magistratura, né l'autonomia ed il coraggio dei procuratori, ma gli stessi valori della prima parte della nostra Costituzione).

È interessante che, dinnanzi a questa nuova barbarie, oggi come allora, la Chiesa cerca di rappresentare un argine: il "vade retro Salvini" con cui Famiglia Cristiana demonizza il ministro dell'Interno (!!!) è una posizione da cui si deve partire: non per eludere le difficoltà che obiettivamente nascono dal planetario quanto inarrestabile fenomeno della migrazione di grandi masse, ma per affrontarlo secondo valori diversi: quelli che la sinistra, ma più in generale l'intero sentimento democratico, deve essere in grado di sostenere.
Ed allora è questa la sfida che i nostri intellettuali stanno lanciando: contiamoci, anche a prescindere dalle nostre (pretese?) rappresentanze politiche; verifichiamo quanti sono, in Italia, quelli che per un Movimento (un Fronte? Una Lega) anti-Barbari avrebbero la voglia di mobilitarsi, e partiamo da quel numero.
Saremo pochi? Sapremo quanto dura sarà la battaglia di civiltà che ci aspetta, ne terremo conto, e ci attrezzeremo per una "lotta di lunga durata", come si diceva un tempo.

Saremo tanti: allora sarà l'inizio di una nuova stagione, che saprà trovare nuovi interpreti e nuovi protagonisti in grado di arginare questa valanga di fango (questa volta metaforico) che, in Europa e nel mondo, sta minacciando e isolando il nostro Paese.