Napoli

Che tempi bui per verità e solidarietà

Riflessioni

3 minuti di lettura
Che fatica essere liberi. La crisi della società contemporanea era già stata ipotizzata negli anni Ottanta. I sociologi intuirono che un punto massimo di crisi sarebbe stato raggiunto quando non ci sarebbe stata più una politica capace di dare significato al quotidiano. I burocrati hanno pensato di salvare il mondo con i conti in regola e non hanno fatto i conti con la disperazione degli ultimi sempre più numerosi che non riuscivano a dare dignità al loro lavoro, quando il lavoro c’era. E poi i numeri dei disperati sono cresciuti a dismisura, la crisi ha divorato la speranza, i burocrati si sono nascosti dietro i numeri, le sinistre a litigare dietro le nostalgie del passato, le destre a giocare a monopoli, i cristiani spariti dal vocabolario politico. Dimenticare chi è marginale non per colpa, ma per condizione sociale è stato come innescare una miccia che all’occasione può esplodere.

I margini si sono allargati sempre di più quando una finanza miope, pronta ad incassare i profitti e mai a condividere le perdite, governa la politica, la domina, la sfrutta, la sottomette alle proprie voglie. Il territorio dei marginali allora trasborda, inonda di sorpresa chi non se l’aspettava, chi non era pronto, chi non aveva mai letto che prima o poi sarebbe capitato e i poveri di casa nostra insieme a quelli del mondo avrebbero messo sottosopra il tranquillo sonno degli illusi, degli Stati di carta, dei trattati di penna e calamaio. Disperati di terra e di mare, senza lavoro in patria, senza patria natia nella propria terra lontana, neri di dolore dentro e fuori, bianchi di paura oltre la pelle, cittadini di diritto senza diritto di sopravvivenza in casa propria e ospiti non graditi approdati da lontano, poveri cristi gli uni e gli altri che ora si sarebbero guardati in cagnesco per dare alla politica del nulla il tempo di riorganizzare il granaio degli antichi padroni, pronti a ripresentarsi immacolati, finita la carestia, con nuovi abiti e sembianze sulla scena del nuovo assetto mondiale.

Allora sarebbero arrivati quelli che sono pronti a garantire una nuova fase, un nuovo ordine, una pace sociale senza precedenti e come non concedere loro credibilità se chi li ha preceduti ha rovinato così miseramente, come non dar loro accesso nel cuore della speranza di chi disperato avrebbe venduto l’anima piuttosto che morire. Tuttavia l’impegno politico non è un servizio ai miti, ma alla reale e concreta vita quotidiana degli uomini, non è un annuncio ad effetto per placare momentaneamente la fame dei senza pane, è la costruzione solidale della vita quotidiana, che da sola è già un atto rivoluzionario. E questa costruzione non può che essere arte non violenta perché l’unica violenza che deve muovere è quella della verità che rende liberi, della giustizia che ad ognuno concede il suo spazio.

La libertà è faticosa, solo una concezione non violenta della politica può conservarne l’autentico significato. Solo una politica non violenta può davvero restare credibile oltre la violenza della parole, dei gesti, delle economie malate che hanno già generato il lutto e la fame. La non violenza è lo spazio in cui gli uomini scelgono il coraggio del dialogo sempre e in ogni occasione. Non è questione solo di buona volontà, di impegno necessario per superare gli odi che dividono, è la via economica, progettuale, visionaria per recuperare la dignità della specie umana, è forma alternativa di difesa. Se la violenza genera sempre e solo violenza, resistere alla provocazione dell’arroganza è sperare di poter rompere quel circolo vizioso che al male fa seguire il male.

Mi chiedo allora: è politica non violenta quella di questo Paese, è la non violenza il metro per misurarla? E quella del mondo? E se è violenta è arte della liberazione o è ancora inganno dei potenti? La cultura che domina è frutto di quella degenerazione progressiva del pensiero solidaristico che svende nelle pieghe di un bisogno egoistico la necessità di riportare ordine, di dare finalmente sicurezza, di spartire pane finalmente infornato per tutti. Ti offre la riduzione delle tasse, la cancellazione dei debiti, un sussidio universale contro la povertà che non può essere che accettabile e necessario per ricondurre il mondo alla pace, ma ti chiede di non vedere, di tacere, di essere complice per la disumana e scientifica “eliminazione” del diverso, del pensiero contrario come necessario a che finalmente siano riconosciuti i diritti dei normali, dei primogeniti, dei figli legittimi. E per questo ti chiede di essere disponibile perfino a cedere parte della tua libertà faticosamente conquistata nei decenni precedenti. E se per ottenerlo deve muovere violenza lo fa con una ferocia senza precedenti. È faticoso essere liberi, ancor di più in tempi di carestia di verità.