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"Vi racconto la doppia identità di Philip Roth"

L'analisi
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Questo viaggio minimo può cominciare dalla enunciazione di un principio, che mi sembra necessario per l’intelligenza di tutta la letteratura moderna. Esiste una condizione dominante nel cui ambito si collocano protagonisti anche notevolmente diversi l’uno dall’altro. I libri che hanno segnato la modernità letteraria sono nati in zone culturalmente composite, ibride, in cui due universi mentali, due lingue e due patrimoni conoscitivi si fronteggiano senza trovare nessuna sintesi. Joyce, Kafka e Svevo, per esempio, negli anni venti del Novecento sono l’espressione maggiore di questa differenza irrisolta.

Gaelico e inglese, ebreo di Praga e tedesco, italiano e tedesco (come indica perfettamente lo pseudonimo adottato di Italo Svevo) sono i poli che condizionano le invenzioni narrative dei tre scrittori. Essi agiscono in uno spazio fluido, plurale. Convivono con linguaggi e culture che coesistono ma restano separate. Questa condizione produce una conseguenza decisiva, che lascia un segno profondissimo.
La mancanza di sintesi tra due mondi incide sull’idea stessa che l’individuo ha di sé. In mancanza di un paradigma positivo, che sancisca che cosa sia l’uomo e quali debbano essere le sue prerogative ideali, si afferma il punto di vista contrario. L’assenza di amalgama produce quella "incrinatura", da cui nasce l’osservazione interiore.

L’oscillazione tra due modelli spinge a scavare nel sottosuolo della propria coscienza e incontra il suo lato oscuro: ciò che l’uomo non è, "non nobile, non conseguente, non causale". Queste premesse possono adattarsi perfettamente a Roth.

Come si sa, la sua identità culturale è doppia: ebreo e insieme americano. La componente ebraica è un elemento ricorrente, che rode come un tarlo moltissimi romanzi: dal geniale "Lamento di Portnoy" del 1967, grottesca epopea di un "Raskolnikov delle pugnette" alla ricerca della sua identità, al problematico "La controvita", del 1986, racconto con un doppio punto di vista sul legame inquieto tra due fratelli, divisi tra gli Stati Uniti e la Palestina. A sua volta, "Il complotto contro l’America" (2004), invenzione fantascientifica sulla storia americana nel pieno della seconda guerra mondiale, immagina la vittoria di Charles Lindbergh nelle elezioni del 1940. Il famoso pilota si allea con Hitler e il patto getta lo scompiglio nell’intera comunità ebraica. Questa mescolanza ebraica e americana porta con sé, nella configurazione dei personaggi, gli effetti destabilizzanti elencati prima. Anch’essi si presentano, come i loro antenati letterari, "non nobili, non conseguenti, non causali". I protagonisti di Roth sono soggetti perversi, posseduti da furie innominabili. Incapaci di ogni resistenza, sono esposti al male o godono di farsene. Sono l’espressione di un "Everyman" (2006), spinto da istinti feroci e condannato a marcire sotto una terra qualunque. Raffigurano il destino di un "Animale morente" (2001), lacerato tra ossessione dell’eros e l’incubo della malattia. Raccontano tutti insieme il delirio paranoico della "Macchia umana" (2000) e soprattutto la parabola inquietante di "Pastorale americana" (1997). Qui l’illusione di vita differente, espressione della pace, della bellezza e del successo, si capovolge nella trama disperata di un universo di tenebre, in cui nessun legame si salva. E quel titolo, che evoca l’Arcadia di un mondo immaginato o perduto, segna drammaticamente lo scarto che si è prodotto tra un’idea e il suo amaro compimento.

In fondo lo scopo che Roth cerca non è compiacere i lettori. Lo scrittore non rappresenta quello che i lettori penseranno.
Piuttosto mette in scena quello che pensano, offrendo non "la giusta soluzione", ma "la giusta impostazione".

L’arte del romanzo non intende fornire un "ritratto equilibrato". Cerca la coerenza con quello che l’autore si propone di descrivere.
Confondere la cronaca con l’invenzione può perfino trascinare nell’assurdo. Se questa confusione persistesse, Roth avverte che potremmo perfino imbatterci in una lettera di ribellione degli studenti contro l’autore di "Delitto e castigo" o degli schiavi contro l’autore della "Capanna dello Zio Tom". O ancora di più in una protesta delle adolescenti indirizzata all’autore di Lolita: "Caro Vadimir Nabokov, le ragazze della nostra classe....".