Montevergine, balli e preghiere sulla neve per la “juta dei femminielli”
Neve e castagnette, canti popolari e fede. In migliaia hanno sfidato il gelo dell'Irpinia per arrivare al santuario di Montevergine, sulla cima del Partenio, celebrando la Candelora e rinnovando il rito della juta dei femminielli, devoti a Mamma Schiavona sulla scia di una leggenda antica: era il 1256, omofobia ante litteram, due giovani omosessuali furono legati a un albero e abbandonati al gelo. A salvarli, si racconta, la Madonna di Montevergine, "che tutto concede e tutto perdona". Così, ogni anno il 2 febbraio la comunità Lgbt arriva qui al suono delle tammorre, pronta a intonare canti devozionali in dialetto in una cornice di assoluta suggestione. E' accaduto anche sabato: il pellegrinaggio che imbarazza la Chiesa, che in passato ha provato invano a ridimensionarlo, è soprattutto un atto d'amore e d'inclusione, il grido d'orgoglio di un popolo festoso di fedeli infreddoliti ma calorosi, l'appello a una fede che non giudica, ma accoglie. Un rito che richiama peraltro le processioni dei Coribanti, i preti eunuchi di Cibele, la grande madre nera, cui i sacerdoti - diversi secoli prima di Cristo - offrivano il loro sesso in dono per rinascere con una nuova identità. Corsi e ricorsi.
Candele e travestimenti, folklore e religione si intrecciano oggi in una tradizione che ha richiamato ancora una volta Luxuria e Marcello Colasurdo, tra i più noti cantanti folk, una vera e propria icona per la galassia LGBT. Presenti entrambi al cospetto, in un sabato di allegria e devozione, al cospetto della Madonna nera di Montevergine, tra rivendicazioni politiche e preghiere struggenti, rigorosamente cantate, mentre tutt'intorno - su un soffice manto di neve bianca - prendeva forma al ritmo di tammorre e castagnette la contagiosa festa collettiva dell'integrazione.
Foto Lucia De Luise