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Zingaretti e il rebus De Luca

L'editoriale: il nuovo leader del Pd deve scegliere se ricandidare il Presidente della Regione in Campania

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Il colpo grosso era quasi riuscito. Fare lo sgambetto a Nicola Zingaretti in Campania. Sarebbe stato un clamoroso segnale politico. L’unica regione in cui il segretario del Partito Democratico resta alle spalle di Maurizio Martina. Non è andata così, per un soffio. Zingaretti ha vinto le primarie con il 66 per cento, ma nella nostra regione non ha agguantato nemmeno il 50, s’è fermato al 48, quattro punti appena sopra Martina, quasi 20 punti in meno rispetto alla media nazionale.

Forse i registi del voto organizzato - Vincenzo De Luca con suo figlio Piero, Mario Casillo, Raffaele Topo, azionisti di maggioranza del Pd campano - hanno sottovalutato il vento che soffiava tra gli elettori democratici. Vento robusto, politicamente chiaro. Quel soffio civile che ha spinto tanti cittadini dell’area progressista, soprattutto a Napoli, ad alzarsi e a votare per ridare fiducia al partito in crisi. Proprio questo ha fatto la differenza. Migliaia hanno sentito il bisogno - altri ancora lo sentiranno - di sconfessare le scelte del governo più a destra dell’Italia repubblicana. Il più ostile in maniera preconcetta agli immigrati. Il più determinato a portare a casa - nella componente leghista di Salvini  - l’autonomia differenziata delle Regioni, che potrebbe spaccare il Paese.

No, stavolta il filotto non è riuscito. Zingaretti ha tagliato il traguardo anche in Campania. Perfino Salerno non ha seguito in massa i De Luca, com’era già accaduto alle politiche. Forse, chissà, gli strateghi delle preferenze volevano proprio questo. Che Zingaretti vincesse ma non troppo. Che il nuovo segretario fosse comunque costretto a fare i conti con loro, com’è successo con Matteo Renzi e, prima ancora, con Pier Luigi Bersani. La sera del trionfo del leader, De Luca ha cercato di riposizionarsi in tempo reale. Ha fatto sapere che lui alle primarie non è andato nemmeno a votare, ha lasciato spazio al «popolo». Si è complimentato con Zingaretti nell’attimo stesso della vittoria, chiamandolo poi il giorno successivo per incontrarlo. Ma è difficile credere realisticamente che De Luca padre fosse estraneo alle scelte del figlio, fatto eleggere alla Camera appena un anno fa.

Il governatore si impegna molto, da mesi, pur di riaffermare la leadership. Ieri ha incontrato la ministra leghista per gli Affari regionali, Erika Stefani. Al tavolo delle trattative ha illustrato le materie, su cui la Campania chiede l’autonomia. Ma il federalismo non si realizza con accordi bilaterali tra le singole Regioni-Stato e il governo. Non si raggiunge senza una legge quadro di indirizzo generale - lo auspica oggi su questo giornale il costituzionalista Andrea Patroni Griffi nell’intervista a Raffaele Sardo - che stabilisca regole, diritti e risorse uguali per tutti. Notevole il siparietto tra De Luca e i suoi omologhi di Lombardia e Veneto, Attilio Fontana e Luca Zaia. Sorridenti come vecchi amici, si sono fatti fotografare insieme. De Luca ha citato Marzo 1821 di Manzoni sull’Italia unita. Zaia gli ha risposto scherzando con Eduardo, “ha da passà a nuttata”.

Fa bene il presidente della Regione a stemperare il clima. Però i governatori di Lombardia e Veneto, se va in porto la riforma come dicono loro, l’Italia la spaccano davvero. Inoltre, più che impostare singole trattative, per quanto apprezzabili, sarebbe più logico che un Pd unito dietro Zingaretti affrontasse in maniera organica un tema di tale rilevanza costituzionale.
Il tempo è poco. L’anno prossimo si vota per rinnovare il consiglio regionale. De Luca vuole ricandidarsi, costi quel che costi. Conquistare la segreteria del partito in Campania era la prima, indispensabile mossa. Obiettivo raggiunto, ma basterà? Cosa farà Zingaretti? Darà fiducia ancora a De Luca, come Renzi prima di lui? Oppure sceglierà un’altra strada, scommettendo sul rinnovamento? Su chi punterà nella regione più importante del Mezzogiorno, dove i Cinque Stelle alle politiche hanno frantumato ogni record? È vero, il vento sta cambiando, ma la delusione investe più il movimento di Grillo che la Lega di Salvini. E la destra in Campania è storicamente forte.

Da un lato è logico che venga confermata la candidatura del presidente uscente della Regione. Non farlo significherebbe sconfessare cinque anni di governo deluchiano. Ma quali sono stati i risultati raggiunti su sanità e rifiuti, per citare solo i due temi più urgenti? Riproporre De Luca agli elettori non sarebbe un segnale di rinnovamento, ma di continuità in un partito ai minimi storici. Altre personalità potrebbero dare il segno della necessaria rifondazione politica, Raffaele Cantone, Paolo Siani, per citarne solo alcuni. Il Pd al Sud deve davvero voltare pagina. Oltretutto De Luca dovrà vedersela con il sindaco Luigi de Magistris, che gli toglie spazio a Napoli e in un campo politicamente contiguo. Alla fine sindaco e presidente potrebbero addirittura elidersi a vantaggio della destra. Rompere con il passato ma rinnovare, a costo di perdere? Rovesciare il tavolo per vincere? Preferire la continuità? Il Pd in Campania interroga Zingaretti.