Napoli

Said e Leo, la morte senza risposte

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Tutto è frutto del caso nel delitto di Torino. Ma penso anche alla ragazza schiacciata dall’albero e all’adolescente ucciso dal cornicione a Napoli
La storia di Said Mechaouat e Stefano Leo ha dell’incredibile, e non riesco a smettere di pensarci.

Non mi riferisco alle motivazioni che hanno spinto il giovane marocchino a commettere l’atroce delitto, perché è chiaro che parliamo di follie di una mente perversa.
Proprio non riesco a trovare dietro una simile storia motivazioni politiche, proprio non mi va di finire a parlare di razzismo, di migrazione, accoglienza, benessere, povertà, invidia e quant’altro.

Non mi va perché non c’entra nulla, a mio avviso, perché questo gesto assennato non ha una motivazione, se non la follia, come detto, e quella, ahimè, non ha colore di pelle, né latitudine e longitudine.

Nessuna difficoltà, dolore, trauma, stress, può portare a compiere una violenza del genere, gratuita, solo la pura e semplice follia. Ma non è di quest’ultima che voglio parlare, quanto di destino, che in genere passeggia rasente i muri, invisibile come un ratto sotto la pioggia, e che invece stavolta si è manifestato in tutta la sua assurdità. La morte del povero Stefano è frutto del caso, che potremmo chiamare avverso, se volessimo, così da sentirci meglio, ma sbaglieremmo, perché la fatalità non è avversa, è fatalità, una cosa che accade senza un motivo, una spiegazione, un sostegno. Caos.
T
utto è frutto del caso, la nostra stessa nascita è solo un episodio (fortuito), le nascite e le morti sono aneddoti casuali.
A Stefano sarebbe bastato non passare di lì in quel momento, non uscire di casa quel giorno, poteva ubriacarsi la sera prima e dormire fino a tardi, avere una gastrite e restare nel letto.

Said poteva non trovarsi in Italia, certo (ma con ogni probabilità avrebbe comunque commesso prima o poi un gesto simile), poteva cambiare idea all’ultimo, oppure uccidere il ragazzo con il quale aveva avuto un diverbio pochi minuti prima. Invece questi è salvo e Stefano è morto. Molti in queste situazioni cercano appigli, si dicono che forse era venuto il suo momento, che se quel ragazzo non avesse incrociato Said sulla strada sarebbe morto lo stesso, probabilmente annegato nel Po. È una comoda bugia che ci diciamo per sollevarci, ma la cruda verità è che Stefano è morto perché si è trovato al posto sbagliato nel momento sbagliato. E perché si è trovato lì in quel momento? È questa la domanda che mi assilla. Per quale movimento cosmico le vite di due ragazzi, vittima e carnefice, folle e sano, si sono sovrapposte in quell’attimo, proprio in quell’attimo e in quel luogo? Dovremmo tentare di riannodare i fili delle loro esistenze, tornare indietro e cercare nelle ultime ore dei due, negli ultimi giorni o nelle ultime settimane, nei mesi precedenti; qual è stato il bivio che li ha portati a incontrarsi? Si chiama Effetto farfalla, quello che dice che il battito d’ali di una farfalla può provocare un uragano dall’altra parte del mondo.

Alan Turing lo spiegava in modo più approfondito: "Lo spostamento di un singolo elettrone per un miliardesimo di centimetro, a un momento dato, potrebbe significare la differenza tra due avvenimenti molto diversi, come l’uccisione di un uomo un anno dopo, a causa di una valanga, o la sua salvezza". È difficile da buttare giù, lo ammetto, e penso anche ad altre morti assurde, alla ragazza schiacciata dall’albero che se ne sta in piedi da un secolo e cede proprio in quel momento, all’adolescente ucciso da un cornicione che, sì, ok l’incuria, stava comunque al suo posto da ottanta e passa anni. Effetto farfalla. Due parole per spiegare l’inspiegabile.

E allora meglio rifugiarsi nelle fede (per chi ce l’ha), che, al contrario, ci dice che è tutto già scritto, che ti fa pensare che non esista il caso, che la teoria della farfalla sia una boiata, la fede che ti porta a credere che la tua vita sia già stata scritta in ogni suo aspetto.
La fede incrollabile è il più grande tesoro che un uomo possa trovare sul suo cammino, altro che amico. Per tutti gli altri "sfortunati" come me, invece, che proprio non riescono ad affidarsi fino in fondo, che non riescono a non porsi domande e sono terrorizzati dalla mancanza di risposte, a noi, dicevo, non resta che tentare di non pensarci troppo, anzi di dedicarci alle piccole cose, di farci piccoli, il trucco che adoperiamo da sempre quando le cose diventano talmente grandi da sovrastarci.
Il problema è che a furia di farsi piccoli c’è il rischio di diventare piccoli.
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