Napoli

Masullo: "La camorra è un cancro, si vince con una task force straordinaria dell'istruzione"

Il filosofo compie 96 anni, cerimonia in Comune

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«Se ho un sogno? Che il “rispetto”, nel senso vero del termine, che in latino serve a indicare la relazione, diventi il centro della nuova civiltà». Il professore Aldo Masullo compie oggi 96 anni. Il filosofo con lo sguardo “oltre” le pochezze, le cui parole illuminano le coscienze e sbrogliano il ginepraio della modernità, viene festeggiato questa mattina a Palazzo San Giacomo. «Non senza qualche imbarazzo per una cerimonia voluta da un’amministrazione di cui non condivido tutto. Ma ad una cortesia non si può che rispondere con cortesia. E dunque ne sono contento. Anche perché sono certo che l’idea è venuta a Nino Daniele, una persona cara. Un vecchio allievo, cui mi lega affetto autentico. Gli sono grato per l’attenzione affettuosa. E ne apprezzo il lavoro da assessore alla Cultura in una città disastrata».

Una città dove si continua a sparare e a morire. Persino dinanzi ai bambini, come è accaduto a San Giovanni. Il nipotino dell’assassinato ha lasciato a terra il suo zainetto, come 22 anni fa il figlioletto di Silvia Ruotolo. Un’immagine simbolo della città dannata dalla camorra.
«La camorra è un cancro. E Napoli è l’unica città d’Europa che porta dentro di sé un tale cancro di cui non si contiene lo sviluppo. Lo Stato, la magistratura, la polizia, ci hanno provato. Hanno arrestato i grandi vecchi della criminalità organizzata. Ma questi sono stati rimpiazzati da giovani presi dall’abbandono al piacere immediato, delinquenti giovanissimi alla frenetica ricerca del potere e dell’affermazione individuale».

Un destino ineluttabile?
«No. Per interrompere lo sviluppo di questo cancro serve la scuola. Una task force dell’istruzione. Un impegno straordinario perché qui la scuola porta il peso di un contesto sociale negativo che non ha pari in nessun’altra città».

Di recente in una scuola ha incontrato i ragazzi nell’ambito dell’iniziativa “Adotta un filosofo”.
«E mi sono trovato dinanzi giovani nei quali sta rinascendo la curiosità per la politica, per l’insieme delle attività dell’individuo tra gli individui».

Una generazione che si è lasciata alle spalle il disinteresse?
«I liceali di oggi vengono da un lungo silenzio e dall’assoluta incomprensibilità del mondo politico. Dunque è significativo e importante riscontrare in loro l’interesse attivo di chi si vuole informare. Più di qualche anno fa. Oggi, seppur non manifestano passione politica attiva, i ragazzi esprimono la grande curiosità verso la trama della vita politica».

Curiosità, ma senza partecipazione?
«Senza passione militante, ma con passione analitica e critica».

Per incontrare i giovani è tornato nel suo vecchio liceo, il Carducci di Nola.
«Volevo andare lì dove ho studiato e dove, mentre aiutavo il professore a rimettere a posto i libri in biblioteca, ne leggevo alcuni clandestinamente. Quel liceo è una delle due istituzioni che amo di più».

L’altra qual è?
«La Federico II, apprezzo molto il rettore Manfredi, ha portato in ateneo uno spirito nuovo, di ripresa. Ha aperto alle novità del nostro tempo, comprendendo che oggi l’università deve collegarsi alle altre istituzioni, anche a quelle produttive, e deve attivare insegnamenti e ricerche di tipo nuovo. Anche sull’università ho un sogno. E si lega al futuro di Napoli».

Un sogno per Napoli?
«Mi piacerebbe che dalla collaborazione tra le varie nostre università nascesse una rete di formazione di grandi mediatori culturali e politici».

Una nuova diplomazia?
«La diplomazia non è più quella di un tempo. Napoli è al centro del Mediterraneo e delle rotte umane che conosciamo. Se la città desse vita ad una rete di iniziative volte alla formazione di nuove figure di mediatori culturali e politici acquisterebbe una nuova centralità, stavolta non passiva, ma capace di scongiurare i conflitti che nascono dalle difficoltà dei popoli ad entrare in rapporto gli uni con gli altri. La guerra, bisogna evitare la guerra».

Lei una guerra l’ha vissuta.
«Ero ragazzo, vivevo nella bufera della guerra. Ricordo con chiarezza il 10 giugno del ’40: ero in un’aula del mio liceo per il compito d’Italiano della maturità. E gli altoparlanti diffusero la notizia che l’Italia entrava nel conflitto. Avvertii che all’improvviso che nulla sarebbe più stato uguale a prima. Ricordo anche il battito del cuore di mia sorella. Era una bambina».

Cosa accadde?
«Fuggivamo lungo una strada alberata. Fummo esposti al mitragliamento di aerei inglesi . I proiettili vicini. Ci buttammo a terra, mia sorella sotto di me. Sento ancora il battito del suo cuore. Ci salvammo. Anche di un altro attacco ho un ricordo netto. Ero all’università: bombardavano il porto. Ci rifugiammo all’Archivio di Stato. E il professore, nel fragore delle bombe, ci teneva seduti attorno a lui: leggeva i Dialoghi di Platone. Immagine del contrasto tra la guerra e la pace. La guerra mica la scontano i generali, è la follia di cui pagano il prezzo le persone comuni. Della guerra sono nemico».

Beva il suo caffè, professore.
«Mi piace molto il caffè».

E cos’altro le piace molto?
«Il mio lavoro. Lo studio, e dunque pensare più profondamente la vita, anche la mia».

E quella della società?
«Le trasformazioni di questi decenni hanno messo in crisi le democrazie liberali, in pericolo i diritti. Non c’è politico capace di costruire un progetto che conservi la grande conquista della parità dei diritti e della dignità dell’uomo. In un solo termine: il “rispetto”, l’essere relativo di ciascuno a tutti gli altri, che è la base della democrazia. Il tesoro da conservare nelle nuove condizioni del mondo».