Ieri lo stesso tribunale aveva liberato Taner Kilic, ma poi oggi la doccia fredda. L’ong: “Notizia devastante, esempio della crisi di giustizia nel Paese”
della redazione
Roma, 1 febbraio 2018, Nena News – Rilasciato. Anzi no, di nuovo detenuto. E’ sempre più schizofrenica la giustizia turca all’epoca del sultano Erdogan. Con un colpo a sorpresa, il tribunale di Istanbul ha rovesciato stamane la sua decisione sul presidente del ramo turco di Amnesty International (AI), Taner Kilic.
Un’assurdità se si pensa che soltanto ieri lo stesso tribunale aveva annullato il provvedimento di custodia cautelare che da otto mesi costringe l’avvocato e difensore dei diritti umani dietro le sbarre. All’ultima udienza, lo scorso 25 ottobre, le speranze di vederlo di nuovi fuori dal carcere erano leggermente aumentate dopo che erano stati scarcerati gli altri 10 imputati accusati come lui di associazione terroristica per un meeting organizzato da Amnesty a Istanbul. Kilic, infatti, è accusato di avere legami con l’organizzazione dell’imam Fetullah Gulen che Ankara ritiene responsabile del fallito colpo di stato del luglio del 2016.
I fatti risalgono allo scorso giugno. Fu proprio quella riunione sull’isola di Buyukada (Istanbul) a essere stata ufficialmente la causa dei loro arresti. Per giorni polizia, testimoni anonimi e parlamentari definirono quel meeting come un incontro cospiratorio per portare il caos nel Paese. Una tesi clamorosamente smentita dallo stesso proprietario dell’hotel dove si tenne quel meeting. Le sue parole, infatti, hanno fugato ogni dubbio su quell’evento: “Nessuno dei partecipanti richiese particolare segretezza per la riunione. Non chiesero allo staff dell’hotel di uscire dalla stanza [dove avevano l’incontro]. Si comportarono come normali clienti”.
Parole che non hanno convinto la procura che considera Kilic direttamente legato alla comunità dell’imam Fetullah Gülen (denominata Hizmet o Cemaat) a causa del download dell’applicazione per smatphone Bylock, che gli inquirenti continuano a ritenere il principale mezzo di comunicazione degli aderenti all’organizzazione del religioso turco (in autoesilio negli Usa). Kilic non è il solo in Turchia ad essere sospettato di “terrorismo”per via di una applicazione elettronica (che nega di aver installato): sono infatti migliaia le persone sotto indagine per lo stesso motivo. Ciò anche a causa di una sentenza della Corte di Cassazione che ha disposto recentemente che la presenza di Bylock è da considerare una prova sufficiente per determinare la custodia cautelare.
Una posizione duramente criticata dagli avvocati Koray Peksayar e Tuncay Besikci che in un loro studio hanno mostrato come esistano applicazione terze (a loro giudizio dietro ci sarebbe una compagnia di software chiamata Mor Beyin) capaci di produrre connessioni nascoste a Bylock senza che il proprietario del telefonino ne venga a conoscenza.
Tuttavia, il castello accusatorio dei procuratori turchi sembrava essere caduto definitivamente ieri quando il presidente di Amnesty Turchia aveva avuto l’ok per uscire dal carcere. Poi stamattina la doccia fredda. “Ottenere il rilascio e poi vedersi la porta della libertà così spietatamente sbattuta in faccia è devastante per Taner, per la sua famiglia e per chi sta dalla parte della giustizia in Turchia” ha commentato amaramente il Segretario generale dell’ong umanitaria Salil Shetty. “Quest è l’ultimo esempio della crisi di giustizia nel sistema turco che svuota il diritto ad avere un giusto processo”. Un dramma umano che coinvolge non solo i diritti interessanti – in questo caso Kilic e gli altri 10 attivisti che rischiano fino a 15 anni di galera – ma anche i loro familiari che non sanno quando (e se) potranno riabbracciare i loro cari. Ieri la moglie del presidente del ramo turco di AI e le sue figlie hanno aspettato per ore fuori i cancelli della prigione in cui è detenuto in fervida attesa di poterlo riabbracciare. E’ questa forse una delle cartoline più significative ed esplicative della Turchia del sultano Erdogan, sempre più un Paese-prigione.
I dati parlano da soli: dal fallito golpe del luglio del 2016, il governo ha arrestato con l’accusa di terrorismo (vicinanza a Gulen o ai curdi del Pkk) più di 50.000 persone licenziandone o sospendendone più di 150.000. Di fronte alla pioggia di critiche che gli piovono contro, il governo fa spallucce: sono “misure necessarie” di fronte alle “molteplici minacce alla sicurezza” che il Paese affronta. Nena News