Bologna: minacce e violenze nel carcere della Dozza

Ecco cosa succedeva nel carcere della Dozza: telefonini forniti dalle guardie e violenze con minacce a chi non voleva sottomettersi ai capi della ’ndrangheta. I Ros hanno scoperto tutto questo grazie ad un collaboratore di giustizia.

Bologna: minacce e violenze nel carcere della Dozza

Nell’inchiesta bolognese dei Ros, otto sono le ordinanze di custodia cautelare. Ad essere coinvolti sono appartenenti alla ‘ndrangheta, e anche due agenti penitenziari che fornivano telefoni in cella ai detenuti.

I militari del Ros hanno scoperto, grazie ad un collaboratore di giustizia, l’esistenza di una gerarchia criminale all’interno del carcere della Dozza. Praticamente venivano rispettate le regole impartite dai boss detenuti in carcere, picchiando in modo brutale un detenuto che non voleva sottomettersi alla ‘ndrangheta. Sono stati arrestati, così, due campani di 30 e 47 anni, uno residente a Bologna e l’altro a Bomporto.

I militari del ROS e i Comandi provinciali di Bologna, Modena e Reggio Emilia, hanno dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare emessa, su richiesta della procura distrettuale Antimafia, dal gip del tribunale di Bologna, nei confronti di 8 indagati. Quattro di questi dovranno rispondere di lesioni aggravate per violenza privata da modalità mafiose. Gli altri quattro – due agenti della penitenziaria e due magrebini – dovranno rispondere di detenzione ai fini di spaccio, in carcere, di sostanze stupefacenti.

Le indagini sono state supportate da intercettazione e da pedinamenti con l’aiuto delle dichiarazioni fornite da un collaboratore di giustizia ed hanno consentito di scoprire l’esistenza di una vera e propria gerarchia criminale che si era instaurata tra i reclusi nel carcere di Bologna, con al vertice boss della ‘ndrangheta operanti nella provincia di Reggio.

Costoro sono i detenuti calabresi Gianluigi Sarcone – fratello di Nicolino, esponente apicale della cosca della ‘ndrangheta operante a Emilia- Romagna e oggetto del procedimento Aemilia – e Sergio Bolognino. Entrambi erano stati reclusi in carcere a gennaio 2015, nell’ambito dell’operazione antimafia. Questi, facendosi forza di intimidazione data l’appartenenza alla ‘ndrangheta, si erano imposti di autorità agli altri detenuti, obbligandoli a sottostare – con violenze e minacce – alle loro regole.

A marzo è avvenuto un violento pestaggio ai danni di uno dei reclusi nella sezione “Alta Sicurezza”, i cui mandanti sono appunto Sarcone e Bolognino, mentre i picchiatori erano i due campani ora scarcerati, ma individuati e arrestati a Bologna. Il povero detenuto in questione era stato punito perché, a loro dire, irrispettoso e refrattario alle disposizioni imposte. La supremazia riconosciuta agli appartenenti della ‘ndrangheta era stata riconosciuta da parte dei detenuti affiliati ai clan di camorra.

Con l’indagine, si è anche accertato che due agenti della penitenziaria avevano allacciato una fitta rete di rapporti illeciti con i reclusi ai quali veniva consentito, tra l’altro, il consumo di droga e l’uso dei telefonini. Ora gli agenti sono ai domiciliari.

Ecco le frasi messe a verbale da Giuseppe Giglio, arrestato nel 2015 nell’inchiesta di ‘Ndrangheta “Aemilia”, poi diventato collaboratore di giustizia: “i telefoni in carcere li forniscono le guardie penitenziarie. Ma qualsiasi cosa avevamo necessità, un tablet, cioè qualsiasi cosa loro ci avrebbero…perché le guardie, tra l’altro, lì sono quasi tutte napoletane, attenzione! E questi qua erano di Napoli. Ah ma se lì avesse messo delle intercettazioni ne avrebbe sentito delle belle!“. E ancora: “sì, me lo disse lo stesso Sergio Bologni, disse in quanto diciamo le guardie sono paesani loro, cioè sono proprio dello stesso paese. Sa, ma qualsiasi cosa ci serviva, diciamo anche a… diritti penitenziari, magari ci serviva qualche cosa, tramite questi napoletani ci arriva subito“.

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