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’Ndrangheta e riciclaggio «Archiviazione per De Martino»

Indagini al via nel 2014, la Procura non ha trovato elementi per chiedere il processo Sull’imprenditore pende l’interdittiva antimafia: «Mi hanno distrutto senza prove»

Rubina Bon
2 minuti di lettura



Pensa a quello che definisce «l’effetto devastante sulla sua vita senza avere le prove delle accuse mosse» e si commuove. Antonio De Martino, l’imprenditore calabrese trapiantato al Lido, da metà 2014 è finito sotto inchiesta della Direzione distrettuale antimafia con le accuse di partecipazione alla ’ndrangheta e riciclaggio. L’iscrizione sul registro degli indagati ha comportato, a novembre 2016, l’interdittiva antimafia (su cui è pendente un ricorso al Tar) da parte della Prefettura per le società di Antonio De Martino. Il che significa, tra le altre cose, niente più appalti pubblici. La notizia dell’inchiesta, e quindi dei sospetti mafiosi su De Martino junior, aveva portato tra l’altro alla chiusura delle linee di credito da parte delle banche ed alla revoca dei fidi.

È delle scorse ore la notizia del deposito da parte della sostituto procuratore Paola Tonini dell’istanza di archiviazione per entrambe le ipotesi di reato. Sulla richiesta prossimamente dovrà esprimersi il gup. Ma il documento firmato dalla pm antimafia rappresenta una prima, fondamentale vittoria per De Martino e per il suo avvocato Renato Alberini. Le motivazioni della decisione della rappresentante dell’accusa ancora non si sanno nel dettaglio. Ma la richiesta di archiviazione arriva quando non vengono trovati elementi tali a carico dell’indagato per chiederne il rinvio a giudizio.

Ora, in attesa dell’udienza davanti al gup, l’attenzione della difesa di De Martino si focalizza sull’interdittiva antimafia «emessa al tempo in quanto ritenuto sussistente il pericolo di infiltrazione mafiosa tendente a condizionare le scelte e gli indirizzi delle sue società. Uno strumento che, lungi dall’essere preventivo, è diventato esclusivamente punitivo. È questa la vera condanna», chiarisce l’avvocato Alberini, «Ora presenteremo istanza di revoca in regime di autotutela». Oltre alla richiesta di archiviazione per Antonio, a pesare c’è anche l’assoluzione perché il fatto non sussiste del padre di Antonio, Saverio De Martino, per concorso esterno in associazione mafiosa dalla Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro, dopo la condanna a 8 anni in primo grado. «L’interdittiva è un provvedimento fatto a priori da un organo amministrativo qual è la Prefettura, senza contraddittorio, basato su presunzioni», aggiunge il legale. A causa dell’interdittiva che attorno a loro ha fatto “terra bruciata”, i De Martino sono stati “costretti” a cedere la gestione del Lido Caffè in Gran Viale, mentre Antonio si è trasferito a Milano. È ripartito come capocantiere, ora è impresario con la sua De Martino Costruzioni. Al Lido è rimasta l’immobiliare, «oltre che il cuore», aggiunge l’imprenditore. «Voglio tornare al Lido e non darla vinta a chi ha agito per invidia e gelosia, a cui ho dato fastidio a livello imprenditoriale e politico», precisa. Il riferimento è all’esposto del giugno 2014 inviato alla Dda, a Finanza e Carabinieri da un gruppo di cittadini del Lido. «Siamo a denunciare la pericolosa infiltrazione mafiosa nel tessuto sociale e imprenditoriale dell’isola da parte di un piccolo gruppo di soggetti che hanno acquisito negli ultimi tempi importanti attività commerciali», si legge nella lettera in cui si fa riferimento anche alla gestione dei servizi all’Excelsior da parte di De Martino. «Abbiamo ricevuto l’accusa più infamante: di far parte della ’ndrangheta e di averla importata al Lido. Ora finalmente l’incubo è finito», conclude De Martino, «Ma per poco la mia vicenda non finiva per rappresentare un nuovo caso Tortora». —



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