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Moschea nel negozio a Mestre, ma per il Tar è abusiva Si va verso la chiusura

Il Centro culturale “Ritrovo” perde il ricorso contro il Comune Già a novembre Ca’ Farsetti aveva provveduto a una diffida

Rubina Bon
1 minuto di lettura

MESTRE. A novembre dagli uffici di Ca’ Farsetti era arrivata la diffida. Ora lo stop del Tar. I fedeli islamici provenienti per la maggior parte dal Bangladesh, oltre che dal Pakistan, si ritrovavano al venerdì a pregare in una moschea ricavata in un negozio in piazzale Madonna Pellegrina, ad Altobello. Tutto in barba alla normativa che impone il rispetto (ed eventualmente il cambio) delle destinazioni d’uso degli immobili. Ieri sul caso è arrivata la decisione del Tar, chiamato in causa dall’Associazione Centro culturale Ritrovo: aver trasformato il negozio in luogo di culto è illegittimo. E la sentenza potrebbe presto avere effetti diretti, con la chiusura della moschea abusiva da parte della polizia locale. Gli stessi agenti erano stati chiamati in più occasioni dai residenti in relazione alla presenza dei fedeli nell’ex negozio.

Oggetto del contendere, il provvedimento del Comune datato novembre 2018, nel quale veniva ordinato di conformare la destinazione d’uso dell’immobile, oppure ripristinare la destinazione originaria entro 90 giorni. I rappresentanti dell’Associazione Centro culturale Ritrovo contestavano l’illegittimità dell’ordinanza, si legge nella sentenza che riporta parte del ricorso, «in quanto il contestato mutamento abusivo da esercizio commerciale ad attività culturale ed esercizio del culto islamico non potrebbe dirsi sussistente, tenuto conto che la natura di associazione di promozione sociale della ricorrente le consentirebbe di localizzare la propria sede e i locali dove si svolgono le sue attività in qualsiasi zona del territorio comunale, indipendentemente dalla destinazione legittima originaria dell’immobile».

I giudici amministrativi hanno evidenziato come non ci sia alcun esonero dall’obbligo di richiedere e ottenere un titolo edilizio conforme. Di qui la conclusione che porta dritta alla sentenza: «In mancanza del necessario titolo edilizio, appare assolutamente giustificata l’applicazione della sanzione ripristinatoria laddove sia stata abusivamente mutata la destinazione d’uso originale». —


 

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