Palermo

Rilevatori di microspie e appuntamenti in campagna: Agrigento, così Leo Sutera si sottraeva alle indagini

(ansa)
Il boss di Sambuca era molto accorto durante gli spostamenti. Ma a incastrarlo è stata la collaborazione con la giustizia di Vito Bucceri
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Da capomafia quale è, Leo Sutera, boss di Agrigento, è sempre stato molto accorto durante i suoi spostamenti. Appuntamenti fissati a orari improbabili in aperta campagna, mezze parole durante le conversazioni telefoniche, pochi dettagli durante le discussioni in macchina. Il cellulare per la maggior parte del tempo rimaneva spento. Era consapevole Sutera, sempre, di essere nel mirino degli investigatori. "La Sicilia è tutta controllata", spiegava a un suo fedelissimo.

E lui, di contro, cercava di schivare più che poteva quel "Grande Fratello" diventando un investigatore a sua volta. È quanto emerge dalle indagini di Sco e squadre mobili di Palermo e Agrigento che hanno portato all'arresto del boss di Sambuca di Sicilia fedelissimo di Matteo Messina Denaro. Lui che, i pizzini della Primula rossa, li leggeva nella solitudine di una campagna aperta, seduto per terra vicino a un casolare.

Leo Sutera era arrivato di persona a Palermo per acquistare un rilevatore di microspie. Nel marzo del 2018 è stato un cliente del negozio "Investiga tu" di via Alcide De Gasperi. Ha acquistato un rilevatore di frequenze e subito dopo lo ha utilizzato dentro alla macchina in cui viaggiava con un altro uomo del mandamento. E poi, poco dopo, ha bonificato anche l'auto di un altro uomo a lui vicino.

Insomma, Leo Sutera, ha cercato di sfuggire alle indagini in ogni modo. Alla fine a "tradirlo", però, è stato un altro mafioso, Vito Bucceri, capo della famiglia mafiosa di Menfi. Il 5 agosto 2016 Bucceri ha cominciato a raccontare ai magistrati i segreti di Cosa nostra agrigentina. Sotto la lente d'ingrandimento sono finiti anche alcuni personaggi vicini a Sutera: gli imprenditori Giuseppe Tabone e Giuseppe Mulè, la fioraia Maria Salvato, Vito Vaccaro e Hedi Chaied. Per loro Sutera era "come un padre" e dicevano che a Agrigento c'era un solo nome. Dicevano: "C'è solo Leo. Ha tutta Agrigento".