Palermo

Palermo: scacco alla mafia del mandamento Resuttana, dieci arresti per il pizzo a San Lorenzo

Il blitz dei carabinieri è il seguito dell’operazione di due anni fa sul pizzo a bar, ristoranti e imprese edili della zona. Otto dei coinvolti erano già in carcere
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Nel mirino degli esattori del pizzo c’erano il bar Golden, la pizzeria La Braciera, la polleria “Maurizio l’unico”, le imprese edili Napoli e “Bonetti e Cannone”. Tutti da taglieggiare, da spremere per riorganizzare la famiglia di San Lorenzo del mandamento mafioso di Resuttana, l’enclave di Cosa nostra nel salotto buono della città dove fino al suo arresto lo scorso dicembre comandava Mariangela Di Trapani, la moglie di Salvino Madonia, boss di San Lorenzo e fedele alleato di Totò Riina. E proprio partendo dall’operazione “Talea” del dicembre 2017 (che insieme alla moglie di Madonia ha portato in cella altri 24 mafiosi di Resuttana) i carabinieri del nucleo investigativo di Palermo hanno continuato a indagare, hanno verificato le parole del nuovo pentito Sergio Macaluso e ascoltato le vittime delle estorsioni. Un paziente lavoro di ricerca dei riscontri coordinato con il procuratore aggiunto della Dda di Palermo Salvatore De Luca che ha portato alla richiesta di 14 ordinanze di custodia cautelare. Il gip Annalisa Tesoriere ne ha accolte 10 che sono state eseguite questa mattina. Otto dei destinatari sono già detenuti in carcere per mafia: si tratta di Pietro Salsiera e Giovanni Niosi arrestati nel blitz “Talea” di 11 mesi fa, di Giuseppe Fricano, Antonino Siragusa, Antonino Tarallo e Michele Pillitteri catturati nell’operazione “Apocalisse” del 2014, di Salvatore Di Maio in cella dal 2011 e di Mario Napoli preso l’anno prima. Due gli arrestati prelevati all’alba nelle loro abitazioni dai militari agli ordini del maggiore Dario Ferrara: si tratta di Antonino Cumbo e Carlo Giannusa. Restano invece indagati a piede libero Sergio Napolitano, Luigi Siragusa, Corrado Spataro e Vincenzo Di Maio. Tutti a vario titolo sono accusati di tentata estorsione ed estorsione aggravata dal metodo mafioso.

Nel secondo atto dell’operazione Talea emerge uno spaccato ancora più preciso degli affari illeciti del mandamento, concentrato a riorganizzare le fila dopo gli oltre cento arresti degli ultimi anni a Resuttana. Per ripartire i mafiosi erano convinti fosse necessario ritornare a riscuotere il pizzo a tappeto, senza concessioni, con una buona dose di aggressività. Per questo il clan si concentra sulla pizzeria La Braciera che aveva smesso di pagare il pizzo dopo averlo fatto dal 1997 al 2008. I titolari della Braciera ai magistrati hanno giurato di essersi stancati di pagare, tanto che sono proprio loro nel gennaio del 2016 a far arrestare i loro estorsori in flagranza. Ironia della sorte si tratta proprio di Sergio Macaluso e Domenico Mammi che di lì a poco collaboreranno con i magistrati palermitani.

Al gip però non sfugge che i 20 anni di attività nel quartiere San Lorenzo raccontati dai ristoratori si intrecciano a filo doppio con le fortune della famiglia mafiosa: dai verbali dei commercianti emerge come il rifiuto di pagare il pizzo sia coinciso con il declino del clan, falcidiato dagli arresti e indebolito dalle lotte interne per il comando. A accanto a bar e ristoranti il clan era tornato a prendere di mira gli impresari edili che lavoravano nel territorio di Resuttana. E se per i commercianti il pizzo era mediamente di 1.500 euro all’anno divisi in due rate, per “gli edili” le richieste erano molto più alte: dai 50mila euro pretesi dall’impresa Napoli ai 200mila sotto forma di un appartamento in via del Bersagliere alla società Bonetti e Cannone. Presunte estorsioni che gli imprenditori però non hanno confermato, nemmeno difronte alle evidenze investigative, convincendo il gip nell’ordinanza a ritenerli “assolutamente reticenti”.