Palermo

Il boss Mineo faceva il doposcuola ai bimbi di Ballarò. E ogni domenica andava a messa a San Saverio

Il boss Settimo Mineo (ansa)
Don Cosimo Scordato: “Sembrava aver cambiato vita”. E ieri dall’altare il prete ha ringraziato i carabinieri per il blitz
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Settimo Mineo, il boss arrestato con l'accusa di essere l'erede di Totò Riina, diceva di volersi lasciare alle spalle il suo passato di mafioso. E tre anni fa, appena uscito dal carcere, aveva chiesto a don Cosimo Scordato, uno dei sacerdoti simbolo dell'impegno della Chiesa contro la mafia, di poter partecipare a un progetto di volontariato. Così, per un anno, Mineo ha fatto il doposcuola ai bambini di Ballarò, nella chiesetta di San Giovanni Decollato, che sorge a pochi metri dall'ingresso della questura.
"Fino a un anno e mezzo fa, faceva volontariato dal lunedì al venerdì, dalle 15,30 alle 17,30", racconta don Cosimo, che è rimasto sorpreso per l'arresto di martedì scorso. Francamente, pensavo che Mineo volesse iniziare una vita nuova. Ogni domenica lo vedevo anche a messa, assieme alla moglie. La messa in cui io ribadisco: Signore liberaci da ogni male, da tutte le mafie": Don Cosimo lo ha ribadito anche ieri mattina, distribuendo una lettera in cui ringrazia le forze dell'ordine per l'ultimo blitz. "Ho ripetuto che andare a messa è incompatibile con l'appartenenza a Cosa nostra. L'ha detto Papa Francesco nella sua visita a Palermo, ricordando che c'è la scomunica per i mafiosi. Perché sono all'opposto del Vangelo".  
Cos'era dunque quella voglia di volontariato del padrino di Pagliarelli? Si può ipotizzare che fosse un escamotage per dimostrare la sua "buona condotta" ai servizi sociali, a cui era stato affidato dai giudici dopo la scarcerazione. "Al termine del percorso, mi aveva chiesto una lettera - dice Scordato - che feci, perché effettivamente aveva dimostrato di impegnarsi con i bambini della nostra associazione. Pensavo davvero avesse preso le distanze dal mondo della mafia, ecco perché lo ammettevo in chiesa; mi sembrava che la sua partecipazione fosse un gesto di maturazione cristiana. Alla luce di quanto è accaduto, possiamo dire che non era così. Evidentemente, dopo la morte di Riina, avvenuta nel novembre scorso, l'organizzazione era tornata a coinvolgerlo - ipotizza il sacerdote - perché i clan, ci dicono le indagini della procura, volevano tornare all'antico con un vecchio mafioso che aveva modi sempre molto affabili e gentili, un uomo della mediazione in contrasto con il sanguinario Riina".
"Non resta che ribadire l'appello di Papa Francesco - conclude don Cosimo - un appello alla conversione, al cambiamento di vita, perché la grazia di Dio abbia il sopravvento sulle terribili disgrazie prodotte dalla mafia".