Palermo

Catania: morto l'anziano boss Giuseppe Alleruzzo

Capomafia del clan di Paternò vicino a Nitto Santapaola. Il questore vieta i funerali pubblici

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CATANIA -  “Signor presidente mi pento di essermi pentito...”. La frase, ormai storica, fu pronunciata in corte d’assise il 4 ottobre del 1990 a Catania dal boss Giuseppe Alleruzzo, uno dei capomafia più sanguinari della Sicilia a capo dell’omonimo clan di Paternò, quando quel paese era uno dei poli del triangolo della morte tra Paternò, Adrano e Biancavilla.

All’età di 84 anni, dopo una lunga malattia Giuseppe Alleruzzo si è spento nel letto della sua casa di contrada ‘Porrazzo’ alla periferia del paese. In quell’abitazione stava scontando la sua detenzione domiciliare, in quella stessa casa in cui nel 2012 i carabinieri lo avevano arrestato dopo avere trovato armi e droga. La questura di Catania ha vietato i funerali pubblici, potranno parteciparvi solo i parenti più stretti. 

Legato a doppio filo con la famiglia catanese di Cosa nostra di Nitto Santapaola, Alleruzzo fu protagonista di una lunghissima storia criminale durante gli anni ottanta. I suoi rivali non potendolo colpire perché era detenuto in regime di isolamento gli assassinarono prima il figlio Santo e dieci giorni dopo la moglie Lucia Anastasi. Poi fu la volta del nipote che portava il suo nome. Fu lui l' 11 agosto del 1987 ad aprire la lista dei ''pentiti'' catanesi. In una giornata di scirocco, in un saletta dell'istituto di medicina legale dell' Università, dove aveva appena ''riconosciuto'' il cadavere della moglie Lucia, cominciò a confidare al sostituto procuratore Giuseppe Gennaro la struttura, le logiche, gli interessi, ed i principali crimini delle cosche di provincia.

 Il ''pentimento'' di Alleruzzo non è stato esente da ripensamenti: il boss, infatti, ritrattò le accuse il 4 ottobre del 1990, in un processo alle cosche che si svolgeva davanti alla corte d' assise presieduta da Alfredo Curasì. Poi ci ripensò, confermò quanto aveva rivelato nella fase istruttoria, ed il processo si concluse con 43 condanne. Pur tuttavia non ha mai smesso di inseguire il sogno di riorganizzare il suo gruppo, cosa che fece legandosi agli Assinnata di Paternò. Sanguinario come pochi mise in piedi un gruppo criminale che per avere il sopravvento nei confronti dei mafiosi rivali utilizzava mezzi crudeli come lo ‘stimolatore’ omega, di fabbricazione statunitense, sequestrato in un covo, utilizzato per ottenere a suon di scariche elettriche a 120 volt, le confessioni dei picciotti rivali.