Palermo

Pd, la nomina di Faraone non spegne le polemiche. Ora la sfida con Piccione si sposta in procura

(palazzotto)
L'ex sottosegretario va alla guida del partito. A proclamarlo dovrà essere l'assemblea, che però è monca e non comprende gli avversari interni. L'ex deputata: "Aspetto i miei legali, poi vado dai pm"
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Pare che, al culmine dello scontro notturno, sia stata tirata in ballo persino la moralità delle genitrici dei “compagni” della parte avversa. Di certo, il pasticcio delle primarie siciliane si chiude con l’ennesimo duello al calor bianco. E in realtà la tenzone non si esaurisce neppure, visto che Teresa Piccione, la candidata che si è ritirata dalla corsa per protesta contro “una competizione falsa e senza regole”, ha deciso di rivolgersi alla magistratura. “Aspetto che i miei avvocati mi diano l’ok e vado in procura”, dice l’ex deputata.

Quel che è acclarato, al momento, è che non si faranno le surreali consultazioni ai gazebo con un solo concorrente e che la commissione regionale per il congresso, ieri sera, ha concluso i suoi lavori “comunicando” l’elezione di Davide Faraone alla carica di segretario del Pd in Sicilia. Si tratta di una “comunicazione”, appunto, perché la proclamazione vera e propria dovrà farla l’assemblea regionale che sarà monca e monocolore: avrà 180 membri e non 300, perché mancano i 120 designati dalle assemblee provinciali mai svolte. E quei 180 che si insedieranno saranno tutti esponenti delle liste di Faraone, dato che la coalizione della Piccione, espressione dell’area Zingaretti, non ha presentato i propri candidati. Situazione decisamente senza precedenti.

La mozione Piccione, che in commissione era rappresentata da Franco Nuccio, Agata Teresi e Meni Pirrone, ritiene “illegittima” l’elezione di Faraone, in quanto l’organismo che si occupa del congresso – si legge nel verbale – “avrebbe dovuto limitarsi alla convocazione dell’assemblea”. Piccione non riconosce il successo dell’avversario e Faraone, oggi, è nei fatti segretario di metà partito. “Per essere precisi del partito di Renzi e Micciché”, dice l’ex deputato regionale Giovanni Panepinto, ex diessino di rito zingarettiano che riaccende la polemica sulle collusioni fra Faraone e i forzisti siciliani.

Il verbale della commissione per il congresso, presieduta dal segretario uscente Fausto Raciti, racconta meglio di tanti sussurri il clima della riunione che si è svolta a porte chiuse: in una sede di partito ormai dismessa perché il Pd non ha più i soldi per pagare l’affitto, e senza più neppure una fotocopiatrice, gli esponenti dell’area Piccione hanno chiesto di avere almeno le foto delle liste di Faraone.

L’ex sottosegretario, contattato telefonicamente, ha rifiutato per “ragioni di privacy”, impegnandosi a consegnare personalmente gli elenchi ai componenti della commissione. I “piccioniani” hanno tentato anche la carta dei soldi: chiedendo formalmente “se siano stati accertati i requisiti di contribuzione” di Faraone che – come tutti i parlamentari – dovrebbe versare una quota mensile al partito (100 euro), oltre a quella per l’avvenuta elezione al Senato (15 mila euro). In questo clima, la seduta della commissione si è protratta oltre mezzanotte. E l’ultimo a uscire, dalla sede del Pd ormai in disuso, ha spento le luci su una delle vicende più buie del partito che fino a un anno fa governava la Sicilia e il Paese.