Parma

"Toscanini e le donne ? Gli correvano dietro, nessun abuso di potere"

I rapporti con il fascismo, i colleghi e le numerose amanti: intervista ad Harvey Sachs, autore della biografia definitiva del grande direttore
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È da pochi giorni nelle librerie Toscanini. La coscienza della musica (il Saggiatore editore, 1.200 pagine, 69 euro), l’edizione italiana dell’ultimo lavoro di Harvey Sachs che è da considerare la biografia definitiva del grande direttore. Ne parliamo con l’autore, che conosciamo da molto tempo: il lettore perdonerà se, per una volta, si contravviene all’etichetta giornalistica che imporrebbe il lei fra intervistatore e intervistato.

Come mai quarant’anni dopo aver pubblicato la prima biografia, e dopo diversi altri volumi dedicati a Toscanini, hai sentito il bisogno di scrivere questo libro?
“C’erano molti motivi per fare una nuova biografia di Toscanini, ma quello principale era la disponibilità di diverse migliaia di lettere e altri documenti che non erano fruibili negli Anni 70, come anche centinaia di conversazioni di Toscanini, registrate a sua insaputa negli ultimi anni della sua vita, che rivelano molti dettagli sconosciuti”.

Già la tua prima biografia, del 1978, era stata di rottura rispetto a quelle (non poche, in verità) uscite fino a quel momento; fra l’altro perché non nascondeva niente della vita privata del Maestro. Ma forse allora nemmeno tu sospettavi che a 70 anni fosse ancora in grado di avere tre o quattro flirt contemporaneamente…
“In verità sapevo già molto, ma le lettere alle varie amanti e amiche non erano ancora venute a galla. Molte persone mi hanno chiesto se al giorno d’oggi Toscanini potrebbe essere accusato di abuso di potere eccetera, ma ciò che emerge dalla corrispondenza è che moltissime delle sue ‘storie’ ebbero inizio perché erano le donne che s’innamoravano di lui! E bisogna aggiungere che, secondo praticamente tutti i testimoni di allora, egli non ingaggiò mai una cantante solo perché gli dicesse di sì, come non negò mai una scrittura a una cantante perché gli aveva detto di no”.

In questo nuovo lavoro si scoprono diversi aspetti poco conosciuti di Toscanini, come la sua grande generosità.
“Era sempre pronto ad aiutare parenti, amici e conoscenti che avevano problemi di soldi o di altra natura, e rinunciava ai suoi cachet quando poteva dedicare il suo lavoro a diverse cause alle quali teneva”.
Com’era nei confronti degli altri direttori? Era geloso di qualche collega? Sui rapporti con Mahler, per esempio, mi pare che il libro chiarisca finalmente certi equivoci.
“Non era geloso perché non credeva che gli altri fossero alla sua altezza – una forma di ‘arroganza innocua’ si potrebbe dire. Però quando gli piaceva il lavoro di altri direttori li sosteneva – come per esempio Bruno Walter, Pierre Monteux, Ernest Ansermet, Wilhelm Furtwängler prima della loro rottura per motivi politici, poi il giovane Guido Cantelli e molti altri. Sarei felice se le mie ricerche potessero finalmente porre fine a tutte le stupidaggini che sono state raccontate sui rapporti Mahler-Toscanini”.

Il filosofo Theodor Adorno, molto critico nei confronti di Toscanini, scriveva che dietro l’atteggiamento del direttore si nascondeva “un ideale da botteghino”. È così? Toscanini era veramente ossessionato dal voler piacere al pubblico?
“Adorno, che aveva ammirato Toscanini negli Anni 30 a Salisburgo e altrove, lo criticò in seguito perché veniva pagato da una grande compagnia capitalista, la Rca/Nbc. Certamente, nei decenni che dedicò alla lirica in Italia, Toscanini sapeva benissimo che se il pubblico non veniva agli spettacoli il teatro avrebbe dovuto chiudere i battenti, ma negli anni con l’orchestra della NBC, 1937-54 – proprio gli anni ai quali Adorno si riferiva – il pubblico assisteva gratis ai concerti, sia in sala sia alla radio, quindi il botteghino non c’entrava niente. Poi in quegli anni, cioè gli anni della sua vecchiaia, Toscanini voleva dirigere soltanto musiche che lo interessavano o che amava in modo speciale”.

Si parla spesso di un Toscanini “tecnologico” e molto abile nel saper sfruttare i mezzi di comunicazione, a cominciare dalla radio. Ma la sua fama nel mondo musicale era già molto diffusa, per esempio in Europa, prima ancora dei concerti radiofonici.
“Questo è vero, ed era vero anche in America, dove fin dagli anni del Metropolitan, 1908-15, era uno dei più famosi esponenti della musica classica e dell’opera lirica, tanto che subito dopo la Prima guerra mondiale le orchestre di Boston e New York lo invitarono a diventare direttore stabile. Non capiva assolutamente nulla delle tecnologie di allora, ma il suo atteggiamento verso la radio era semplice: più gente ha la possibilità di conoscere e gustare la grande musica, meglio è. Idem per la televisione, con quelle trasmissioni degli anni 1948-52”.

In tempi di facile revisionismo, non è raro che riaffiori la questione dei rapporti fra Toscanini e il fascismo: dall’adesione ai fasci di combattimento mussoliniani del 1919, all’aggressione squadrista di Bologna, all’esilio cui il Maestro fu praticamente costretto nel 1938. C’è sempre qualcuno che sostiene che Toscanini non fu mai antifascista e che il fascismo non fu mai troppo ostile nei suoi confronti. Vogliamo chiarire?
“Se, dopo aver letto nel mio libro tutta la storia dei rapporti Toscanini/Mussolini/fascismo, ci fosse ancora qualcuno capace di mettere in dubbio che, almeno dall’epoca dell’assassinio di Matteotti nel 1924, Toscanini sia stato fermamente antifascista, allora non saprei propria cosa dire. Ho in casa fotocopie di oltre 500 documenti che la polizia politica fascista e altri rami del regime, compreso l’ufficio dello stesso Mussolini, tenevano su di lui, perché Toscanini, considerato troppo famoso da eliminare, fu una spina irritante per il regime per molti anni. Anzi, Farinacci suggerì addirittura di farlo fuori fisicamente”.
Secondo te perché non firmò il manifesto degli intellettuali antifascisti nel 1925? E quando lasciò la Scala, nel 1929, lo fece solo perché stanco della vita del teatro?
“Non firmò il manifesto per due motivi, credo: per lui, che aveva aderito al programma quasi bolscevico di Mussolini nel 1919, il manifesto crociano era troppo legato al vecchio trasformismo liberale-conservatore giolittiano; e poi, da direttore artistico (praticamente) della Scala a quell’epoca, non voleva coinvolgere il teatro in conflitti politici. Lasciò la Scala nel 1929 perché stanco del teatro lirico, sì, ma anche perché si rendeva conto della crescente necessità di sovvenzioni, che nella fattispecie voleva dire una crescente ingerenza del regime nella vita del teatro. Ciò che difatti successe subito dopo la sua partenza”.

Un grande amante dell’arte e della letteratura, pur da autodidatta: ecco un altro aspetto toscaniniano su cui la tua biografia fornisce nuove informazioni…
“Credo sia molto importante conoscere questo suo interesse per i movimenti culturali dell’epoca e il suo amore per tutte le arti”.


Che idea ti sei fatto dell’uomo Toscanini dopo aver “convissuto” con lui per quasi mezzo secolo?
“Un personaggio molto complicato, che si sentiva totalmente ‘vivo’ solo quando immedesimato nella musica”.

È vero che studiare Toscanini ti ha spinto a lasciare l’attività di direttore d’orchestra? Te ne sei mai pentito?
“No, nel 1985 ho lasciato le mie attività di direttore d’orchestra, tra l’altro molto modeste, perché non ero contento del mio lavoro e perché, avendo già pubblicato tre libri, avevo deciso di cercare di fare un mestiere bene anziché due in modo mediocre. Non so se ci sono riuscito, ma ci ho provato!”.

Il tuo racconto comincia dalla serata dell’11 maggio 1946, quando il Maestro tornò in Italia dopo 8 anni di esilio per dirigere il concerto di riapertura della Scala ricostruita. Quanto hanno contato nella formazione del mito Toscanini l’impegno politico e le sue prese di posizione pubbliche, non soltanto contro il fascismo ma anche contro il nazismo e a favore degli ebrei perseguitati?
“Per Toscanini queste erano questioni morali oltre che politiche. Un regime che non permetteva opinioni diverse da quelle imposte e la libera circolazione delle idee era per lui indifendibile. Amava l’Italia sopra ogni altra cosa tranne la musica, ma non sopportava l’espansionismo, il neocolonialismo, gli atteggiamenti guerrafondai e infine il razzismo di Mussolini, né ovviamente l’alleanza con la Germania. Certamente difendeva gli ebrei perseguitati, e in una conversazione del 1953 lamentava il fatto che allora in America i neri erano trattati malissimo. Era assolutamente contro ogni forma di razzismo”.

Qual è l’eredità più importante che ha lasciato al mondo musicale?
“L’idea che chi si dedica all’arte deve farlo fino in fondo e senza mai risparmiarsi. Il fatto che Toscanini abbia vissuto fino all’epoca della televisione e degli aerei intercontinentali ci fa spesso dimenticare che era un uomo dell’Ottocento: un romantico!”.

Perché di Toscanini si è scritto, e si continua a scrivere, come di nessun altro interprete (e anche più di molti compositori)?
“Credo per un insieme di tutte le qualità di cui abbiamo parlato sopra”.