Parma

Allegre apocalissi: Triani ci porta nel futuro, aggrappati al presente

Il nuovo saggio del sociologo è un invito a predisporsi a un viaggio e una ricerca che saranno lunghi, faticosi, difficili. Ma ai quali non ci sono alternative
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Allegre apocalissi. Il (passato) futuro che ci attende è il titolo del nuovo saggio di Giorgio Triani di cui pubblichiamo un estratto. Il volume sarà presentato in occasione dell'incontro Conversazione sul futuro (anche) di Parma in programma alla Enolibreria Chourmo, strada Imbriani 56, sabato 23 marzo alle 18.30. Presenterà e dialogherà con l'autore la sociologa Vincenza Pellegrino.

Una massima salutista: "Non prendete la vita troppo sul serio perché alla fine non ne uscirete vivi". E la raccomandazione inaspettata di un fondatore di Google, Larry Page: "Volete cambiare il mondo ? Divertitevi".

Ecco sintetizzata la cifra e lo stile di Allegre apocalisssi. Il (passato) futuro che attende (Castelvecchi): iI saggio di Giorgio Triani che con un linguaggio che mescola il pop e l’accademia, le previsioni più accreditate, la letteratura di genere e la migliore produzione giornalistica, offre un quadro allegramente terrorizzante di ciò che ci attende. Un futuro che è molto più vicino di quanti – e sono tanti- pensano. E non vedono, o si rifiutano per pigrizia o per paura,  di vedere.

"È stato bello, ci siamo divertiti. Ma è finita". È questa infatti l’epigrafe che riassume l’attuale spirito dei tempi e accompagna la fine di un’epoca. O addirittura di un’era. Che è fantastica, meravigliosa e terrorizzante nello stesso tempo, per il repertorio vastissimo e quasi incredibile di futuri che propone e disegna.

Automobili, ma anche autobus, metro, camion che si guidano da soli. Semafori intelligenti e frigoriferi che ordinano la spesa. Test genetici consegnati via email e droni per il trasporto delle persone e non solo della pizza. Verdure e frutta prodotte senza terra. Internet delle cose (IoT) e industria 4.0.

A proposito: il 63% degli alunni iscritti alla scuola primaria da grande farà un lavoro che oggi non c’è. Machine learning e reti neurali, robot e big data annunciano che la fantascienza è prossima a diventare realtà. Nel giro di pochi anni si prevede che l’intelligenza artificiale non avrà più bisogno dell’assistenza umana.

Nel 2022 non ci sarà lavoro manuale e faticoso, che, secondo alcune previsioni, non potrà non essere fatto da macchine. Da robot e in fabbriche automatizzate, che consentiranno di aumentare enormemente la produttività, riducendo però in modo altrettanto consistente il lavoro umano.

 Un mondo senza lavoro o con sempre meno lavoro fisico è una prospettiva realistica e non troppo lontana. Mentre nel giro di un decennio con l’Hiperloop, il treno sparato in un tubo che viaggia come la posta pneumatica, si potrebbe andare da San Francisco a Los Angeles in 28 minuti e da Milano a Roma in 24. Il futuro è vicino. È adesso.

Però nel pieno dell’ipermodernità affiorano ovunque reperti storici di straordinaria attualità. Sono pratiche, esperienze, sentimenti che hanno un forte sapore retrò. Dove il lavoro non c’è e la mobilità sociale s’è fermata, come fossimo ritornati all’Ancient Regime settecentesco. Ma tornano anche i luddisti, gli oppositori a tutto: è il "No 2.0" (No-global e No-Tax, No-TAV e No-Triv, No-Vax e No-TAP).

Resuscita anche il marxismo e pure fascismo e nazismo ridanno segni di vita. Ma non è semplice passato che si ripropone, perché la lotta di classe si riaccende all’interno delle grandi company del web, mentre il nuovo Quarto Stato digitale avanza stringendo in pugno uno smartphone. È il platform capitalism. Nondimeno se fake news e post-verità ci riportano ai tempi dei regimi totalitari, del MinCulPop e della disinformacjia di Stato, talent showe reality tv attualizzano i circenses romani.
 
Si prospetta come prossimo l’avvio della colonizzazione di Marte e il traguardo dei centovent’anni di vita è sempre più vicino. Mentre i “transumanisti” annunciano la prossima comparsa di un nuovo tipo umano “aumentato” dalle tecnologie esponenziali.

Intanto, però, furoreggia un “ritorno al futuro” che non è solo folklore, revival merceologico, vintage. Rimpianto del telefono a gettoni, dei jukebox, dei dischi di vinile. Ma soprattutto furore che accende un ampio fronte di “arrabbiati”: sovranisti e suprematisti, secessionisti e fondamentalisti, odiatori seriali e hater di giornata.

Un inatteso Risorgimento di antiche e irriducibili identità territoriali, razziali, religiose, culturali. Quasi tutte avverse e spesso “armate” contro ogni trasformazione e innovazione. La narrazione si è capovolta: non arrivano più i “nostri”, ma i “cattivi”. Che ora, attraverso il web e i social network, reclamano punizioni e pene esemplari, anche corporali, perfino capitali.

Diversità, apertura, tolleranza sono valori dismessi. Si intravedono orizzonti premoderni, intellettualmente angusti, socialmente avversi. Siamo in uno di quei momenti storici in cui, come ha scritto Alexis De Tocqueville : “Il mondo è uno strano teatro dove avviene che i drammi più cattivi siano quelli che riescono meglio”.

Tuttavia è mobile&digitale il binomio caratterizzante il contesto più generale; il driver di cambiamento più forte; il contenitore e la cornice di
tanti nuovi comportamenti ed esperienze che si collocano in uno spazio/tempo non più classificabile nei modi tradizionali. Saturo, intenso, non lineare, velocissimo, virale, deregolato: sono infatti le parole chiave del nuovo ordine che si sta profilando sull’orizzonte mondiale.

Come sempre, il futuro è imprevedibile per definizione. Raramente il domani è stato però così denso d’incognite e resistenze. Inevitabili
peraltro. Visto che siamo nel pieno  di un sommovimento epocale. E come in ogni rivoluzione sono molte più le distruzioni che le costruzioni, le resistenze che le aperture. Ma non c’è barriera, confine, muro che tengano e possano contenere le paure. O semplicemente opporsi al cambiamento. Eppure molti continuano a procedere a tutta velocità, con la testa girata all’indietro. Aggrappati disperatamente al presente.

Quale che sia. Anche se quest’attitudine non fa che peggiorare una situazione che è già critica. Per quanto scandita e accompagnata da un sottofondo permanente di giochi, musiche e divertimenti.

Allegre apocalissi, appunto, è il racconto di questa disperata lotta e nel contempo un invito a predisporsi a un viaggio e una ricerca che saranno lunghi, faticosi, difficili. Ma ai quali non ci sono alternative. Talché avrebbe, e ha, molto più senso cercare di governare le trasformazioni, negoziare i conflitti, provare a immaginare e progettare il futuro che ci attende, anziché attardarci nella difesa di un presente che non ha futuro. Giusto con quel pizzico di allegria che anche nei momenti peggiori aiuta a vivere (meglio).

Come diceva Winston Churchill nei giorni più drammatici della II Guerra mondiale e della battaglia aerea che si combatteva sui cieli di Londra. “Sono un ottimista. Essere qualcos’altro non sembra molto utile”.