Due referendum hanno mostrato che c’è una larga fetta di cittadini che la richiede. Altre regioni si sono accodate alla richiesta di maggiore autonomia. Il governo gialloverde, appena insediato, aveva promesso che sarebbe stata fatta entro l’anno, ma il cammino dell’autonomia per le regioni del Nord che ne hanno fatto richiesta è ancora lungo. Il consiglio dei ministri di venerdì scorso si è limitato a segnare un percorso che dovrebbe portare alla sottoscrizione di un’intesa a metà febbraio. Il condizionale è d’obbligo, viste le resistenze anche all’interno del governo. E il fatto che l’accordo debba essere tradotto in una legge, che dovrà essere approvata a maggioranza assoluta, complica le cose.
Le regioni del Nord chiedono con l’autonomia che le entrate fiscali restino sul territorio dove sono state raccolte. Il presidente della regione Veneto Luca Zaia, uno dei sostenitori del referendum, ha sostenuto che con la riforma sarà possibile trattenere in regione fino ai nove decimi delle tasse riscosse nella regione: attualmente una grossa parte viene raccolta dallo Stato e redistribuita alle regioni italiane più povere. Sono in molti a temere che il vero obiettivo della concessione di maggiore autonomia sia ridurre il flusso di risorse dalle aree più ricche a quelle più povere del paese. A gettare benzina sul fuoco delle polemiche è intervenuto il Reddito di cittadinanza, la misura voluta dal M5S che, secondo proiezioni accreditate, andrà al Mezzogiorno per il 63%.
Ma lo Svimez, il centro studi per lo sviluppo delle regioni del Mezzogiorno, ne da una lettura completamente diversa. In un’analisi sul “federalismo differenziato”, elaborata dal Presidente Adriano Giannola e dal professor Gaetano Stornaiuolo della Federico II di Napoli, si manifestano «molte perplessità sulle modalità di finanziamento dell’autonomia differenziata: la pretesa di trattenere il gettito fiscale generato sui territori è infondata, inconsistente e pericolosa». Le richieste di autonomia avanzate dalle Regioni Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, «in assenza di riforme costituzionali», potrebbero innescare «un percorso verso un sistema confederale, nel quale alcune Regioni si fanno Stato, cristallizzando diritti di cittadinanza diversi in aree del Paese differenti mettendo così a rischio l’unità nazionale». Secondo lo studio Svimez, dunque, l’autonomia differenziata è «da promuovere se è adeguatamente motivata e se aumenta l’efficacia e l’efficienza nell’uso delle risorse, senza compromettere il requisito di solidarietà nazionale».
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