Dichiarazioni spontanee per poter chiarire la propria posizione negando di essere «a disposizione» dell’imprenditore Paolo Arata e soprattutto di aver ricevuto da lui 30mila euro per far approvare i provvedimenti sull’eolico. L’istanza del sottosegretario alle Infrastrutture Armando Siri è stata depositata ai pubblici ministeri di Roma e già nelle prossime ore il senatore leghista potrebbe presentarsi al palazzo di giustizia. Il M5s è tornato alla carica chiedendo le dimissioni di Armando Siri: «Quando un politico viene accusato dalla magistratura di essere un corrotto, deve fare un passo indietro e chiarire. Si può difendere, è un suo diritto, ma deve farlo lontano dalla sua carica», si legge in un post pubblicato sul Blog delle stelle.
Sono due le contestazioni contenute nell’avviso di garanzia notificato giovedì scorso ad Armando Siri, e riguardano i tentativi del sottosegretario di far inserire nei provvedimenti di legge gli incentivi per costruire impianti eolici in Sicilia in cambio di 30mila euro. Secondo l’accusa le «pressioni» di Arata riguardavano le società che aveva in comune con Vito Nicastri, arrestato dai giudici di Palermo perché accusato di essere uno dei finanziatori del boss Matteo Messina Denaro.
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Oltre al fascicolo dedicato ad Armando Siri, ci sono altre indagini che preoccupano il leader della Lega. La prima è quella dedicata ai 49 milioni di finanziamenti elettorali ottenuti indebitamente. L’indagine ha due fronti. Quello ligure, per truffa aggravata, che è già arrivato a sentenza: l’accordo fatto con la procura di Genova prevede un pagamento dilazionato in 76 anni, al ritmo di 600mila euro l’anno. Ma, se da un lato i pm liguri hanno accettato la transazione, dall’altro hanno deciso di non interrompere la ricerca del tesoro padano. C’è dunque un secondo fascicolo aperto per riciclaggio, centrato su alcune rogatorie in Lussemburgo e in cui si ipotizza che quel denaro sia ancora nascosto da qualche parte e non sia stato usato per la vita del partito, come invece sostiene la Lega. Il filone milanese dell’inchiesta sui 49 milioni dei fondi della Lega, con l’ipotesi di appropriazione indebita, è ancora a dibattimento. Salvini ha deciso di costituirsi parte civile solo contro l’ex tesoriere Francesco Belsito ma non nei confronti del fondatore Umberto Bossi.
Altra grana è poi il caso di Edoardo Rixi, pure lui al ministero delle Infrastrutture ma col ruolo di viceministro. Rixi è coinvolto nel processo sulle “spese pazze” quando era capogruppo leghista alla Regione Liguria, tra il 2010 e il 2012: 20 dei 100 mila euro contestati è imputabile a lui direttamente, dice la procura di Genova, ma più complessivamente il punto è che i magistrati lo considerano responsabile anche perché all’epoca dei fatti guidava la delegazione verde. Per questo, il procuratore aggiunto Francesco Pinto ha chiesto per lui una condanna a 3 anni e 4 mesi. La sentenza è attesa in primavera. Le spese contestate, secondo la ricostruzione della procura, servivano a giustificare trasferte in coincidenza con le festività o spese in negozi che nulla sembrano aver a che fare con l’attività politica.