«Con Umberto Bossi parlavamo ore. Aveva voglia di imparare»- Corriere.it

0


di Cesare Zapperi

Il filosofo ed ex ministro parla di Bossi per gli 80 anni del inventore della Lega: «Uno con il polso del popolo ma partito senza una grande cultura politica. Se la sua energia vitale fosse stata accompagnata da un impianto politico avrebbe lasciato il segno»

«Di politica non mi occupo più, ma di Umberto parlo volentieri». Per Rocco Buttiglione, filosofo cattolico prestato alla politica di cui è stato uno dei protagonisti per tutti gli anni Novanta, festeggiare gli 80 anni del inventore della Lega significa rivivere tappe decisive degli albori della Seconda Repubblica.

Professore, quando conobbe per la prima volta Bossi?
«Lo conobbi nel 1994 con Mario Segni. Io allora ero una sorta di consulente del segretario del Ppi Mino Martinazzoli. La mia idea era di creare un polo moderato con la Lega in competizione con il polo della sinistra».

E Bossi era d’accordo? Lui era nato contro il sistema.
«Ci incontrammo e trovammo un’intesa di massima. L’accordo vero e proprio lo prendemmo con Roberto Maroni. Peccato che il giorno dopo la firma Bossi lo sconfessò. Fu un grave errore politico perché in quel momento c’erano tutte le condizioni per far nascere un vero e sano bipolarismo».

Perché Bossi cambiò idea?
«Mi disse che si era fatto l’idea che Martinazzoli non ci credesse e si mosse in anticipo come un giocatore d’azzardo. Ma ripeto, fu un errore perché quel disegno avrebbe impedito la discesa in campo di Silvio Berlusconi».

Addirittura poi Bossi sostenne il Cavaliere nella nascita del suo primo governo. Salvo staccargli la spina dopo pochi mesi.
«Sì, capì presto che la Lega sarebbe rimasta schiacciata dall’asse Berlusconi-Fini e si chiamò fuori. Aveva una capacità tattica notevole».

Fu lì che lei tornò all’assalto del leader leghista. Il 23 dicembre 1994 firmò il «patto delle sardine» (dal piatto che consumarono, ndr) con Bossi e Massimo D’Alema per far cadere Berlusconi e dare vita al governo Dini.
«Nelle intenzioni doveva essere un esecutivo che doveva porre fine all’occupazione dello Stato da parte dei partiti. Mai ci fu un disastro più grande di quello».

Di chi fu la colpa?
«Di D’Alema. Sentiva il fascino del disegno ma voleva portare i comunisti al governo. Bossi, invece, fu leale».

Eppure, era uno straordinario movimentista.
«Il suo grande pregio è sempre stato quello di essere vicino alla gente. Aveva il polso del popolo che chiedeva un cambiamento. Il limite è che non aveva una grande cultura politica. Ma ricordo la voglia di imparare. Stavamo ore e ore a parlare. E lo stesso Berlusconi degli inizi aveva grandi idee nuove. Poi è iniziata la guerra alla magistratura…».

Bossi si è guadagnato un posto nella storia della politica italiana?
«Di sicuro aveva una energia vitale che se fosse stata accompagnata da un impianto politico avrebbe lasciato il segno. Invece, mi pare che un equilibrio si sia rotto prima di arrivare ai risultati attesi. E ora non se ne vede uno nuovo. Il Paese aspetta le riforme che volevamo fare ma paradossalmente non ne parla più».

C’è qualcosa in comune tra Bossi e Salvini?
«Sì, l’Umberto degli inizi era molto simile all’attuale leader. Ha iniziato con idee un po’ sballate (ricordate il Dio Po?) ma poi, soprattutto sul territorio, ha cresciuto una classe dirigente di valore. Salvini rimane un enigma. L’area che ha aggregato è decisiva ma sulla sua capacità di guidarla ho dei dubbi. Bene ha fatto ad appoggiare Draghi, gli ondeggiamenti degli ultimi mesi rischiano invece di essergli fatali».

19 settembre 2021 (modifica il 19 settembre 2021 | 22:05)



Source link

Cesare Zapperi , 2021-09-19 20:05:34
www.corriere.it

Leave A Reply