6 agosto 2018 - 23:03

I pm: la tempesta web anti Colle è un «attentato alla libertà del capo dello Stato»

L’indagine della Procura, la richiesta internazionale per avere i dati da Twitter

di Fiorenza Sarzaninifsarzanini@corriere.it

(Foto Ansa) (Foto Ansa)
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L’attacco via Twitter contro il presidente Sergio Mattarella serviva a esercitare pressioni affinché facesse marcia indietro sul nome di Paolo Savona e accettasse la sua nomina a ministro dell’Economia. È questa l’ipotesi seguita dai magistrati della Procura di Roma che infatti ipotizzano l’«attentato alla libertà del capo dello Stato, e l’offesa al suo onore». La scelta di procedere per reati tanto gravi serve anche ad effettuare una serie di accertamenti tecnici — anche attraverso rogatorie all’estero — per individuare l’origine di quelle migliaia di messaggi che la notte tra il 27 e il 28 maggio ne chiedevano le dimissioni. E nell’elenco viene inserita anche la «sostituzione di persona», visto che i primi accertamenti effettuati dalla polizia postale hanno dimostrato che tutti i profili utilizzati erano falsi e servivano a schermare l’autore dell’assalto. E hanno escluso la responsabilità di troll russi.

Lo scontro istituzionale

Per ricostruire quanto accaduto bisogna tornare a quelle ore di crisi. Giuseppe Conte, che ha ottenuto un mandato esplorativo, inserisce il nome di Savona nell’elenco dei ministri, in quota Lega. Mattarella decide dunque di non accettare la lista, sottolineando la propria contrarietà al fatto che sia scelto come responsabile del dicastero un professore notoriamente schierato sul fronte «no euro» e autore di un piano per portare all’uscita dell’Italia dall’Unione monetaria. Una posizione netta che provoca l’ira di Matteo Salvini e soprattutto la reazione forte di Lugi Di Maio. Il capo politico del Movimento 5 Stelle annuncia che chiederà l’impeachment del presidente della Repubblica, lo accusa pubblicamente di «alto tradimento». Si accoda la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni. I grillini si mobilitano.

Lo stesso hashtag

Poche ore dopo, quando ormai è notte, si scatena il tweet storm. La piattaforma social, che consente di scrivere il proprio pensiero in 280 caratteri, si riempie di migliaia di messaggi che hanno tutti lo stesso hashtag: #mattarelladimettiti. È una sorta di bombardamento che va avanti per ore. Mattarella però non recede, forte del principio costituzionale secondo cui spetta al presidente del Consiglio la proposta dei ministri, mentre è il capo dello Stato a doverli nominare. E alla fine sono i leader politici ad adeguarsi, tanto che nelle settimane successive Di Maio dichiara pubblicamente che «l’attacco al presidente è stato un errore, non lo rifarei».

Le verifiche sui profili

Le verifiche effettuate da intelligence e polizia postale — ancora in corso come specificato ieri dal direttore del Dis Alessandro Pansa — accertano che tutto è partito da un’unica fonte che ha generato 400 profili. Si tratta dunque di account finti che servivano soltanto a rilanciare la posizione di Di Maio, scatenando il dibattito pubblico e dunque indebolendo il Colle in quei giorni già complicati da una crisi che non sembrava avere fine. Il pubblico ministero Eugenio Albamonte chiederà a Twitter, attraverso una rogatoria, l’elenco di tutti i profili che sono stati chiusi, quelli ancora attivi e le informazioni sugli account. Secondo i primi controlli il punto di partenza sarebbe lo «snodo dati» di Milano che ha fatto rimbalzare la creazione dei profili su server stranieri, proprio per inquinare ulteriormente la possibilità di risalire agli autori dell’attacco. E dunque bisognerà anche scoprire se in quei giorni ci siano state attività «anomale» sulla Rete che possano aver agevolato quella che viene ritenuta una vera e propria operazione politica.

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