8 agosto 2018 - 11:30

Il Papa: «Noi nel deserto, tentati dal vitello d’oro di un dio fai-da-te»

Nell’udienza in Aula Nervi la riflessione che attualizza il biblico esodo dall’Egitto: ««Successo, potere e denaro sono le tentazioni di sempre: i desideri che danno l’illusione della libertà e invece schiavizzano». Il ricordo e l’esempio di Edith Stein

di Ester Palma

shadow

Nel «deserto» della condizione umana, la tentazione del «vitello d’oro» è sempre presente: ma «Dio continua a lavorare per togliere l’Egitto che noi portiamo dentro, che è il fascino dell’idolatria» . Nella sua catechesi sui Comandamenti, Francesco attualizza il racconto biblico trasportandolo nella vita di tutti noi. «Successo, potere e denaro sono le tentazioni di sempre: ecco che cos’è il vitello d’oro, il simbolo di tutti i desideri che danno l’illusione della libertà e invece schiavizzano. E allora ci creiamo un dio fai -da-te, su misura per le nostre esigenze». Il Papa lo ha detto durante l’udienza generale di oggi in aula Nervi, davanti a settemila pellegrini di tutto il mondo, fra selfie, sorrisi. benedizioni e baci ai bambini. C’era anche il cantante inglese Sting con la moglie Trudie Styler.

«Precarietà e insicurezze? Consegniamole a Dio»

Francesco ha spiegato: «Tutto nasce dalla nostra incapacità di confidare soprattutto in Dio, di riporre in Lui le nostre sicurezze, di lasciare che sia Lui a dare vera profondità ai desideri del nostro cuore, che sostenga anche le nostre debolezze, incertezze e precarietà. Senza primato di Dio si cade facilmente nell’idolatria e ci si accontenta di misere rassicurazioni». Ricordando l’Esodo dall Egitto guidato da Mosè, ha aggiunto: «Cos’è il deserto? È un luogo dove regnano la precarietà e l’insicurezza, dove mancano acqua, cibo e riparo. Il deserto è un’immagine della vita umana, la cui condizione è incerta e non possiede garanzie inviolabili. Questa insicurezza genera nell’uomo ansie primarie, che Gesù menziona nel Vangelo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?” E in quel deserto accade qualcosa che innesca l’idolatria: Mosè che tarda a scendere dal monte. Manca il punto di riferimento, la guida rassicurante, e per il popolo questa attesa diventa insostenibile. Allora il popolo chiede un dio visibile per potersi identificare e orientare. Dicono ad Aronne: “Fa’ per noi un dio che cammini alla nostra testa!”».

«La paura della precarietà porta all’idolatria»

Francesco ha proseguito la sua riflessione: «In effetti la natura umana, per sfuggire alla precarietà, cerca una religione fai-da-te: se Dio non si fa vedere, ci facciamo un dio su misura. Davanti all’idolo non si rischia la possibilità di una chiamata che faccia uscire dalle proprie sicurezze, perché gli idoli “hanno bocca e non parlano”, come dice il salmo 115. Capiamo allora che l’idolo è un pretesto per porre se stessi al centro della realtà, nell’adorazione dell’opera delle proprie mani. Aronne non sa opporsi alla richiesta della gente e crea un vitello d’oro. Il vitello aveva un senso duplice nel vicino Oriente antico: rappresentava fecondità e abbondanza e anche energia e forza. Ma anzitutto è d’oro, perciò è simbolo di ricchezza». Ma, ha aggiunto: «A Dio non è costato tanto lavoro liberare il popolo dall’Egitto, lo ha fatto con amore, ma il grande lavoro di Dio è stato togliere l’Egitto dal cuore del popolo, togliere l’idolatria dal cuore del popolo. Cosa che cerca di fare anche oggi e per sempre. Perché l’idolo sempre schiavizza: c’è il fascino, e tu vai e lì c’è il serpente, e l’uccellino rimane bloccato e il serpente lo afferra. E’ nel volto di Cristo crocifisso che scopriamo la ricchezza dell’Amore del Dio che si è impoverito per arricchirci: invece gli idoli ci impoveriscono e ci rendono sempre più schiavi. Nessuna libertà è vera senza liberarci prima dalla schiavitù degli idoli, per accogliere Cristo che ci rende figli dell’unico Dio e fratelli tra di noi».

«La vera libertà è affidarsi del tutto a Gesù Cristo»

Francesco ha concluso: «Quando si accoglie il Dio di Gesù Cristo, che da ricco si è fatto povero per noi, si scopre allora che riconoscere la propria debolezza non è la disgrazia della vita umana, ma è la condizione per aprirsi a Colui che è veramente forte. Allora, per la porta della debolezza entra la salvezza di Dio ; è in forza della propria insufficienza che l’uomo si apre alla paternità di Dio. La libertà dell’uomo nasce dal lasciare che il vero Dio sia l’unico Signore. Questo permette di accettare la propria fragilità e rifiutare gli idoli del nostro cuore». E anche a questo proposito il Papa ha ricordato Edith Stein, santa patrona d’Europa, di cui oggi ricorre la memoria liturgica insieme a quella di San Domenico di Guzman, fondatore dell’Ordine dei Predicatori: «Edith è stata una donna di coerenza, che cercava Dio con onestà e amore, martire del suo popolo ebraico e cristiano. Che preghi e custodisca l’Europa dal Cielo».

© RIPRODUZIONE RISERVATA
ALTRE NOTIZIE SU CORRIERE.IT