7 giugno 2018 - 07:52

Il clan Spada a processo per mafia: le vittime non si presentano in aula

In 12 rinunciano a costituirsi come parti offese. I pm: problemi di sicurezza con gli imputati presenti in aula

di Fulvio Fiano, Ilaria Sacchettoni

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Sono sparpagliati nelle carceri di Lecce, Tolmezzo, Terni, Voghera, Genova, Ancona, Taranto, ma nell’ambito territoriale dove hanno costruito la loro fama criminale sono ancora percepiti come un gruppo unito e minaccioso contro il quale meglio non schierarsi. Così almeno sembrerebbe a giudicare dalla defezione in toto delle parti civili alla prima udienza del processo contro l’associazione mafiosa che porta il nome della famiglia Spada.

Nell’aula bunker di Rebibbia si celebrava ieri davanti alla Corte d’Assise il primo rito collettivo contro il clan di cui erano stati già giudicati e condannati singoli (e significativi) esponenti. E in collegamento dai luoghi di detenzione c’erano i boss Carmine detto Romoletto, Roberto, quello della testata al giornalista Rai (processo in corso parallelamente), Ottavio detto Maciste, più altri sette con lo stesso cognome, il parente Nando De Silvio detto Focanera per un totale di ventiquattro imputati accusati a vario titolo di omicidio, estorsione, usura, traffico di droga e intestazione fittizia di beni. Il tutto sotto il cappello dell’omertà, dell’intimidazione, del controllo capillare del territorio nel quartiere di Nuova Ostia, proprio di una associazione mafiosa. Di questo clima di assoggettamento si è avuta la conferma indiretta quando sarebbe toccato alla dozzina di vittime di vessazioni che ne avevano titolo farsi avanti per costituirsi parte civile. Non solo nessuno di loro l’ha fatto, ma nemmeno erano presenti in aula. Analoga scelta hanno fatto le associazioni civiche locali.

Davanti alla Corte, e rispondendo alle proteste delle difese per il divieto agli imputati di essere presenti in aula, i pm Ilaria Calò e Mario Palazzi hanno così rimarcato come questo sia la conferma che ad Ostia «permangono gravi problemi di sicurezza legati a un contesto criminale mai placato» e che «si rende indispensabile il regime di alta sorveglianza cui sono già sottoposti la maggior parte degli imputati», perché metterli in contatto tra loro creerebbe concreti e attuali pericoli.

L’impianto accusatorio, nato dalle indagini coordinate dal capo della Dda Michele Prestipino, non ne esce scalfito. Anzi, il ragionamento degli inquirenti porta a ritenere che la pressione (diretta o indiretta) ancora oggi esercitata sulle vittime sia un segnale quasi atteso in un momento di grandissima difficoltà per gli Spada. Il clan è stato disarticolato da inchieste e arresti proprio quando soppiantava la storica egemonia dei Fasciani ed è sempre meno in grado di far sentire la propria voce all’esterno del fortino di riferimento, ora che nel municipio di Ostia (sciolto per mafia in seguito all’inchiesta Mondo di Mezzo) si moltiplicano le iniziative di rinascita civile. Pochi giorni fa anche il Papa è andato a portare la sua testimonianza.

E tra le dodici persone che hanno scelto di non presentarsi va fatto qualche necessario distinguo. Alcuni sono stati già indagati per favoreggiamento nel corso del loro interrogatorio, quando il verbale è stato chiuso per manifesta reticenza. Poi c’è chi, come la vedova Baficchio, storico rivale degli Spada, ha scelto forse di non tradire le logiche criminali. Gli altri saranno comunque chiamati a testimoniare con la quarantina di persone citate nella lista dei pm. Tra queste, i collaboratori di giustizia Michael Cardoni e Tamara Ianni, che per primi hanno scelto di interrompere la scia di vendette incrociate rivolgendosi allo Stato; Paul Dociu, fuoriuscito dal clan; l’altro pentito Antonio Gibilisco; e il «grande vecchio» Sebastiano Cassia, già accusatore dei Fasciani. Tutti e cinque sono ancora oggi sotto protezione.

«Gli Spada hanno arrecato all’immagine di Roma un danno su scala mondiale», ha sostenuto il Campidoglio, ammesso come parte civile assieme alla Regione e alle associazioni Libera, Caponnetto e Antiusura Onlus .

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