Pasti caldi, rifugio e assistenza per i poveri e gli sbandati, esattamente nel luogo in cui, quasi duemila anni fa, nel I secolo dopo Cristo, faceva lo stesso il ricco e potente generale Placido: che abitava con la moglie e i figli in una bella casa nel centro della Roma imperiale, poco lontano dal Pantheon, in cui ogni giorno accoglieva e sfamava gli ultimi. Il generale si convertì al cristianesimo con tutta la famiglia prendendo il nome di Eustachio, e morì martire. La sua casa, già dall’VIII secolo, è diventata la Basilica a lui dedicata, nel rione omonimo. E oggi pomeriggio, nei locali finora abbandonati sotto la chiesa, quelli dell’antica casa di Sant’Eustachio, ma ristrutturati e messi a norma grazie al contributo dei fedeli, sarà inaugurata da monsignor Gianrico Ruzza, vescovo ausiliare di Roma Centro, la «Casa della Misericordia».
«Sarà un vero e proprio polo per il sociale - spiega monsignor Pietro Sigurani, rettore della Basilica - che prevede l’accoglienza degli ospiti tutti i giorni, soprattutto quando piove e fa freddo, in un’area dedicata all’igiene con docce e lavanderia e con un centro di aggregazione per coniugare l’accoglienza e la formazione con attività culturali e di sostegno sociale e psicologico. sarà una specie di caffè, in cui chiunque potrà trovare riparo, ma anche il modo per fare due chiacchiere e per incontrarsi». A Sant’Eustachio non sono nuovi a iniziative del genere: sotto il portico della basilica, già da 6 anni, ogni giorno a 120 poveri viene servito un pasto completo di dolce, caffè e frutta: «Perché la pastasciutta sfama lo stomaco, ma il dolce è per l’anima», spiega il monsignore. Il tutto grazie a un catering pagato dalla carità dei fedeli: «Noi facciamo tutto solo con la carità. Io credo che la carità della Chiesa vada pagata con la carità. E la Provvidenza non ci abbandona mai: siamo in centro, proprio davanti al Senato, ci sono i nostri fedeli di zona, ma anche tanta gente che passa e lascia qualcosa per i nostri poveri». Gli «ospiti» vengono da tutto il mondo: tanti italiani, ma anche migranti e rom, che a Sant’Eustachio sanno di trovare non solo un pasto, ma anche una parola buona, un’opportunità per rimettersi in gioco.
«Quello che conta, e cui noi puntiamo, è la dignità di queste persone, non solo a dare loro da mangiare»: tanto che don Pietro sta per lanciare un’altra iniziativa «sociale». l’«Università degli scartati», per riprendere un termine caro a Papa Francesco. «Sarà intitolata a Giulia Carnevale, studentessa 23enne di Ingegneria morta nel terremoto dell’Aquila, saranno i suoi genitori a tagliare il nastro. Vogliamo offrire corsi di lingue e cultura varia. Ma non basta. Stiamo aprendo anche una casa editrice , grazie al sostegno di docenti e intellettuali che ci aiutano». E per i suoi poveri don Pietro ha in mente anche un «polo della bellezza»: un centro che oltre alle docce offra il parrucchiere, manicure e altri servizi estetici oltre a una lavanderia e un servizio di rammendo degli abiti usurati. «Sono i poveri che salveranno noi, non il contrario. Ci costringeranno a cambiare vita e modelli economici. Non dobbiamo chiudere le porte».