23 settembre 2018 - 10:16

Il Papa in Lituania: «Oggi gli ultimi sono stranieri, anziani e disoccupati»

Oltre 100mila fedeli nel parco di Vilnius per la messa di Francesco che parla di accoglienza e minoranze: «Mettere al centro i più piccoli e gli ultimi». E poi un messaggio dal passato: «La voglia di potere è di chi non fa i conti con la storia»

di Gian Guido Vecchi, inviato a Vilnius

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Il parco Sàntakos di Kaunas è attraversato dai fiumi Neumunas e Neris, in lituano «sàntaka» è il luogo in confluiscono i corsi d’acqua. «Di questo si tratta: di essere una Chiesa in uscita, di non aver paura di uscire e spenderci anche quando sembra che ci dissolviamo, di perderci dietro i più piccoli, i dimenticati, quelli che vivono nelle periferie esistenziali». La prima messa di Francesco nei paesi baltici, alla periferia dell’Europa, è un invito al Vecchio Continente a fare memoria del passato per non ripeterne le tragedie: fino a invitare a discernere in tempo «qualsiasi nuovo germe» dell’antisemitismo. L’invasione nazista, l’oppressione sovietica, le SS e il Kgb, l’annientamento del ghetto ebraico di Vilnius e le deportazioni nei gulag. «Le generazioni passate avranno avuto impresso a fuoco il tempo dell’occupazione, l’angoscia di quelli che venivano deportati, l’incertezza per quelli che non tornavano, la vergogna della delazione, del tradimento. La Lituania intera lo può testimoniare con un brivido al solo nominare la Siberia, o i ghetti di Vilnius e di Kaunas, tra gli altri; e può dire all’unisono con l’apostolo Giacomo, nel brano della sua Lettera che abbiamo ascoltato: bramano, uccidono, invidiano, combattono e fanno guerra».

Le minoranze

A Vilnius, sabato, il Papa aveva esortato a «ospitare le differenze» e messo in guardia da chi, come fecero i regimi totalitari del Novecento, «strumentalizza le differenze» imponendo un «modello unico» che vuole «annullare il diverso». Ora Bergoglio alza lo sguardo davanti agli oltre centomila fedeli riuniti nel parco e invita a «mettere al centro», come Gesù nel Vangelo, i più piccoli e gli ultimi: «Oggi forse sono le minoranze etniche della nostra città, o quei disoccupati che sono costretti a emigrare. Forse sono gli anziani soli, o i giovani che non trovano un senso nella vita perché hanno perso le loro radici».

I germi dell’antisemitismo

Più tardi, all’Angelus, Francesco spiega che «nell’empio, il male cerca sempre di annientare il bene», si sofferma sulla Shoah e ammonisce contro il ritorno dell’antisemitismo: «Settantacinque anni fa, questa nazione assisteva alla definitiva distruzione del Ghetto di Vilnius. Così culminava l’annientamento di migliaia di ebrei che era già iniziato due anni prima. Come si legge nel Libro della Sapienza, il popolo ebreo passò attraverso oltraggi e tormenti. Facciamo memoria di quei tempi, e chiediamo al Signore che ci faccia dono del discernimento per scoprire in tempo qualsiasi nuovo germe di quell’atteggiamento pernicioso, di qualsiasi aria che atrofizza il cuore delle generazioni che non l’hanno sperimentato e che potrebbero correre dietro quei canti di sirena». Poi ricorda la collina delle croci, che in Lituania i sovietici tentarono di spianare per tre volte. Ogni volta le croci ricomparivano, oggi sono quattrocentomila: «Vi invito, mentre preghiamo l’Angelus, a chiedere a Maria che ci aiuti a piantare la croce del nostro servizio, della nostra dedizione lì dove hanno bisogno di noi, sulla collina dove abitano gli ultimi, dove si richiede la delicata attenzione agli esclusi, alle minoranze, per allontanare dai nostri ambienti e dalle nostre culture la possibilità di annientare l’altro, di emarginare, di continuare a scartare chi ci dà fastidio e disturba le nostre comodità».

Lotte di potere

La riflessione del Papa nell’omelia della messa parte dal passo evangelico in cui Gesù annuncia per la seconda volta la Passione mentre i discepoli non capiscono e invece discutono di chi tra loro sia il più grande. «Fratelli, il desiderio di potere e di gloria è il modo più comune di comportarsi di coloro che non riescono a guarire la memoria della loro storia e, forse proprio per questo, non accettano nemmeno di impegnarsi nel lavoro del presente. E allora si discute su chi ha brillato di più, chi è stato più puro nel passato, chi ha più diritto ad avere privilegi rispetto agli altri». Ma negare la propria storia «è un atteggiamento sterile e vano, che rinuncia a coinvolgersi nella costruzione del presente perdendo il contatto con la realtà sofferta del nostro popolo fedele. Non possiamo essere come quegli “esperti” spirituali, che giudicano solo dall’esterno e passano tutto il tempo a parlare di “quello che si dovrebbe fare”». La risposta di Gesù a chi gli chiede chi sia il più grande, l’ «antidoto» a «queste lotte di potere e al rifiuto del sacrificio» è mettere al centro - «in mezzo» a loro - un bambino, «un ragazzino che di solito si guadagnava gli spiccioli facendo le commissioni che nessuno voleva fare». E «in mezzo , spiega il pontefice, «significa equidistante, in modo che nessuno possa fingere di non vedere, nessuno possa sostenere che “è responsabilità di altri”, perché “io non ho visto” o “sono troppo lontano”. Senza protagonismi, senza voler essere applauditi o i primi». accoglienza

Una Chiesa solidale

Per questo bisogna essere una Chiesa in uscita, «solidale con l’umanità», conclude Francesco: «Sapendo che quell’uscire comporterà anche in certi casi un fermare il passo, mettere da parte le ansie e le urgenze, per saper guardare negli occhi, ascoltare e accompagnare chi è rimasto sul bordo della strada. A volte bisognerà comportarsi come il padre del figlio prodigo, che rimane sulla porta aspettando il suo ritorno, per aprirgli appena arriva. Oppure come i discepoli, che devono imparare che, quando si accoglie un piccolo, è lo stesso Gesù che si accoglie».

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