26 settembre 2018 - 07:17

Roma, l’amore tra Scienza e Teatro continua a salire sul palcoscenico

Ora è la volta degli attori Vinicio Marchionni e Milena Mancini con lo spettacolo L’Amar. Hedwig Eva Maria Kiesler, in arte Hedy Lamarr, un’attrice che visse una vita da film

di Edoardo Segantini

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Il personaggio di Hedy Lamarr, attrice scandalosa e inventrice geniale, continua ad attrarre il teatro. L’anno scorso fu Gabriella Greison, una figura originale di fisica-giornalista-attrice-scrittrice (oggi sul palcoscenico con Einstein & Me), a portare in scena a Roma un monologo straordinario sulla diva e il wifi. Ora è la volta degli attori Vinicio Marchionni e Milena Mancini con lo spettacolo L’Amar. Tale attrazione non stupisce. Hedwig Eva Maria Kiesler, in arte Hedy Lamarr, fu un’attrice che visse una vita da film. Austriaca di famiglia ebraica, diventata americana per fuggire al nazismo, femminista ante-litteram e collezionista di mariti, forse spia (ma per i buoni), è un personaggio fuori dal comune, anche rispetto alle biografie leggendarie di Hollywood: prima scandalizzò il mondo con Estasi, poi lo stupì con l’invenzione che avrebbe gettato le basi per la telefonia mobile e le sarebbe stata riconosciuta dalla comunità scientifica internazionale tre anni prima della morte nel 2000.

Alla sua biografia, realizzata con la collaborazione dell’informatico dell’Ucla Giovanni Pau, ho dedicato due anni e viaggi tra Austria e Stati Uniti, cercando di capire se la storia di Hedy inventrice fosse una bufala o una realtà. Vedevo troppe asserzioni non documentate a sostegno dell’una e dell’altra tesi. Com’era possibile che una persona senza basi scientifiche, pur se d’intelligenza speciale, potesse aver inventato un sistema sofisticato come il frequency hopping Riuscii a trovare la risposta quando mi fu dato accesso agli archivi della Qualcomm, la società tecnologica americana depositaria di quei segreti scientifici. Emerse che Hedy e il musicista George Antheil poterono avvalersi, grazie a un programma del governo Roosevelt che promuoveva ricerche utili alla guerra, dell’aiuto di alcuni tra i maggiori scienziati dell’epoca, che trasformarono le intuizioni di partenza in un brevetto.

Al di là della figura di Hedy Lamarr, l’aspetto importante che vorrei sottolineare è la capacità del teatro di parlare di scienza. Dei grandi temi della contemporaneità come della dimensione intima dell’essere umano. Senza paura di affrontare argomenti complicati. Agli esempi citati prima ne aggiungo altri due: il primo è Richard Feynman, la scienza senza cravatta, il monologo di Massimo Popolizio ispirato alla biografia del fisico premio Nobel dal titolo Sta scherzando Mr. Feynman?. Il secondo è il bellissimo Copenaghen, di Michael Frayn, che torna a dicembre al Teatro Argentina: interpretata da tre grandi, immersa in un’atmosfera irreale, la pièce ruota intorno alla conversazione tra due Nobel, il danese Niels Bohr (Umberto Orsini) e l’allievo Werner Heisenberger (lo stesso Popolizio) alla presenza della moglie di Bohr (Giuliana Lojodice). E’ un teatro che cerca di superare le barriere tra le «due culture», umanistica e scientifica, e di avvicinare il pubblico ai dilemmi che nascono nei laboratori ma poi si ripercuotono sulle nostre vite. Va apprezzato e sostenuto

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