25 aprile 2019 - 17:49

Roma, la comunità singalese e la preghiera per le vittime in patria

Tutti gli anni, i cittadini dello Sri Lanka a Roma si ritrovano alla Grotta delle tre fontane sulla Laurentina. «Non è come sempre, però. Quest’anno c’è stata la messa e il grande pranzo, ma niente danze e canti»

di Stefania Moretti

Padre Nevile Perera alla Grotta delle Tre fontane durante la cerimonia Padre Nevile Perera alla Grotta delle Tre fontane durante la cerimonia
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Cristiani, buddisti, musulmani: alla Grotta delle Tre fontane, in via Laurentina, c’è tutta la comunità singalese di Roma riunita in preghiera. Nessuna divisione è la risposta che arriva decisa dopo le bombe che hanno insanguinato la Pasqua dello Sri Lanka; “la lacrima dell’India” piange 359 vittime e la conta dei morti non è ancora finita.

L’amore in risposta alla violenza

«Con la spada non si vince. La violenza si combatte con l’amore», ammonisce monsignor Nevile Perera dall’altare. «Abbiamo visto le immagini delle nostre cattedrali sventrate. Abbiamo visto il sangue del popolo sparso, ma la statua del Cristo risorto è rimasta dov’era: nessuno può toccare il Signore». Sono venuti in tremila ad ascoltare il cappellano dei cristiani srilankesi. È l’altro 25 aprile di Roma: tutti gli anni, i singalesi si ritrovano alla Grotta delle tre fontane per commemorare la Vergine della Rivelazione, apparsa agli occhi di un peccatore in quest’angolo di periferia. Era il 12 aprile del ’47 ma loro hanno scelto il 25 perché è festivo: possono stare insieme e prendersi una pausa dal lavoro. Molti sono collaboratori domestici, quasi tutti in Italia da più di vent’anni. Insieme, in silenzio «Non è come sempre, però» racconta Dilhan Ranseera Fernando, il fotografo che ogni anno immortala la festa. «Sicuramente c’è più gente che negli altri anni, in genere siamo circa duemila. Quest’anno c’è stata la messa e il grande pranzo, ma niente danze e canti. Siamo qui per la tradizione e per il piacere di rivederci tutti, ma dopo quello che è successo non si può che restare in silenzio». Le grandi fotografie vicino all’entrata della chiesa ricordano gli attentati di Pasqua: le cattedrali di Colombo, Negombo e Batticaloa sventrate dagli ordigni, i corpi irriconoscibili a terra. Si prega, si accendono candele; alcuni non trattengono le lacrime mentre monsignor Perera si avvicina alle foto della strage e le mostra al vescovo ausiliare di Roma Sud Paolo Lo Giudice, ai monaci della comunità buddista theravada e ad Alberto Quattrucci, rappresentante della Comunità di Sant’Egidio per il dialogo interreligioso.

«Terroristi senza fede»

Dopo la messa, il grande pranzo all’ombra degli alberi, nel giardino della Grotta. «Ci organizziamo sempre più o meno allo stesso modo – racconta Preethi Fernando -: ognuna porta quello che può. Preparato rigorosamente la mattina, così è fresco». Cento chili di maiale, 150 di pollo, 170 di riso. Poi verza, piselli e anacardi, cibi piccanti, casse di frutta, gelato: tra il buffet in piedi e i bambini che giocano è già pomeriggio inoltrato. «Quello che è successo non c’entra niente con la religione, è solo terrorismo – dice Abbas, srilankese musulmano, in Italia dal ’90: ha voluto trascorrere la giornata di oggi accanto ai connazionali cristiani. Io non ho perso familiari nella strage, ma è un po’ come se fossero morte persone a me care: siamo tutti srilankesi, quindi tutti amici».

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