6 maggio 2019 - 13:11

Caso Siri, dimissioni o revoca delle deleghe? Mercoledì il Cdm. Di Maio: «Non credo si debba andare al voto»

Il braccio di ferro tra i due vicepremier, Salvini e Di Maio, una sfida per il consenso e per la leadership che, salvo colpi di scena, può finire solo con un passo indietro di Siri o con la conta davanti al presidente del Consiglio. Il leader del Carroccio: «Non abbandono persone con cui si è fatto un pezzo di strada insieme»

di Monica Guerzoni

Caso Siri,  dimissioni o revoca delle deleghe? Mercoledì il Cdm. Di Maio: «Non credo si debba andare al voto»
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L’ultimo avviso di Salvini, gli ultimi reciproci insulti e adesso anche gli ultimi, frenetici tentativi di salvare un governo appeso al filo sottilissimo di una ragnatela. Le parole di Luigi Di Maio al Gr1 Rai sul caso del sottosegretario leghista Armando Siri, indagato per corruzione, suonano come il tentativo di frenare sull’orlo del Grand Canyon: «Non credo che si debba arrivare al voto». Parole che, pronunciate all’antivigilia di un fatidico Consiglio dei ministri, rivelano la grande paura che serpeggia tra i 5 Stelle, impressionati dalla forza con cui Matteo Salvini ha chiesto agli alleati—avversari di «tapparsi la bocca». La previsione dell’ex ministro leghista Roberto Maroni a L’aria che tira, su La7, rimbalza sul web come un monito e un presagio: «Se il Consiglio dei ministri vota per le dimissioni di Siri finisce il governo, Salvini deve uscire...».

Chiaro allora che, dopo giorni di vane pressioni del presidente Giuseppe Conte, Di Maio tenti di disinnescare l’appuntamento cruciale di mercoledì, quando i ministri a Palazzo Chigi saranno chiamati ad esprimersi sul destino del consigliere economico di Salvini. «Non credo che si debba arrivare al voto» è una formula nuova e imprevista, che stride con le minacce e gli altolà scanditi negli ultimi giorni dai vertici del Movimento. Già, perché se invece si arrivasse al voto i 5 Stelle avrebbero la maggioranza. Siri verrebbe accompagnato alla porta e difficilmente, spiegano i collaboratori, il leader della Lega potrebbe mandare giù l’affronto e riprendere il viaggio come nulla fosse.

«Io sono abituato a non abbandonare mai gli uominicon cui si è fatto un pezzo di strada insieme», è la promessa che Salvini ha fatto a Siri. Infatti non gli ha chiesto di lasciare e, assicura ad Agorà il sottosegretario leghista Claudio Durigon, non lo farà nemmeno nelle prossime ore: «Non credo che succederà. No, assolutamente». È un braccio di ferro tra i due vicepremier, una sfida per il consenso e per la leadership che, salvo colpi di scena, può finire solo con un passo indietro di Siri o con la conta davanti al presidente del Consiglio. I numeri sono dalla parte di Di Maio, che ha otto ministri contro i sei della Lega. Il M5S può contare sul sì di Toninelli, Grillo, Fraccaro, Bonisoli, Lezzi, Bonafede, Trenta e dello stesso capo politico. «I nostri ci saranno tutti e voteranno compatti per le dimissioni», anticipa il capogruppo del M5S al Senato, Stefano Patuanelli. Ma se da una parte i 5 Stelle fanno sfoggio di muscoli, dall’altra buttano sulle spalle di Salvini «la responsabilità di arrivare a un voto» e quindi, nel caso, di far cadere il governo.

Il Carroccio in difesa di Siri schiera il segretario e ministro dell’Interno e poi Centinaio, Stefani, Fontana, Bongiorno e Bussetti, indipendente di area leghista. Il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi, indipendente senza simpatie dichiarate per la Lega, né per il Movimento, sarà assente perché in missione tra Singapore e Vietnam. E a distanza di sicurezza dai due schieramenti in lotta permanente si tiene anche il ministro dell’Economia, Giovanni Tria. Sono le ultime trattative, gli ultimi insulti. Dal «tira fuori le palle» rivolto dal Blog delle stelle a Salvini, fino al «tappatevi la bocca» con cui il vicepremier leghista ha provato a zittire i compagni di avventura. E il caos è tale che nella Lega c’è chi pensa di far uscire la delegazione ministeriale al momento del voto, così da non mettere la faccia sulla sconfitta e sull’addio forzato di Siri. Il fedelissimo di Salvini è accusato di aver favorito con un emendamento alla legge di Bilancio il faccendiere Paolo Arata, che sarebbe vicino al boss mafioso Matteo Messina Denaro. Siri, stanco e provato per la bufera che lo ha travolto, ma convinto di essere innocente, aspetta con ansia l’incontro con i magistrati, che potrebbe tenersi nelle prossime ore. «Quando finirà questa violenza?», si è sfogato il senatore con gli amici. Ma Di Maio non fa sconti: «La cosa importante è rimuovere un sottosegretario che getta ombre sul governo».

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