31 maggio 2019 - 15:30

Papa Francesco in Romania: «No alla cultura dell’odio, l’Europa ricordi le sue radici cristiane»

In Romania l’87 per cento della popolazione è ortodosso e i cattolici sono solo il 7 per cento, eppure si vedono migliaia di persone lungo le strade di Bucarest a seguire gli spostamenti del pontefice

di Gian Guido Vecchi, nostro inviato a Bucarest

Papa Francesco in Romania: «No alla cultura dell'odio, l'Europa ricordi le sue radici cristiane»
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«Abbiamo bisogno di aiutarci a non cedere alle seduzioni di una cultura dell’odio e individualista che, forse non più ideologica come ai tempi della persecuzione ateista, è tuttavia più suadente e non meno materialista». Francesco parla al Sinodo ortodosso, nel palazzo del patriarcato, ed è significativo che le parole più importanti, nel primo giorno di viaggio in Romania, siano rivolte ai cristiani. Alle autorità politiche, dopo la visita al palazzo presidenziale, aveva parlato di «sviluppare l’anima del popolo» e «camminare insieme, come modo di costruire la storia». Ed ora, accanto al patriarca ortodosso Daniel, dispiega una riflessione significativa, ad una settimana dal voto europeo. Per ritrovare se stessa, secondo il Papa, l’Europa deve recuperare le proprie radici cristiane. Ma questo in un senso opposto a quello ostentato dai nazionalismi e sovranismi diffusi, fa capire Francesco, pur senza nominarli in modo esplicito. In questi anni, dice Francesco, «in molti hanno beneficiato dello sviluppo tecnologico e del benessere economico, ma i più sono rimasti inesorabilmente esclusi». Nel frattempo, «una globalizzazione omologante ha contribuito a sradicare i valori dei popoli, indebolendo l’etica e il vivere comune, inquinato, in anni recenti, da un senso dilagante di paura che, spesso fomentato ad arte, porta ad atteggiamenti di chiusura e di odio».

Più «suadente» e «non meno materialista» del comunismo, la «cultura dell’odio e individualista» è radicalmente diversa dall’anima cristiana: «Il Signore si rivela nello spezzare il pane, chiama alla carità, a servire insieme: a “dare” Dio, prima di “dire” Dio». In Romania l’87 per cento della popolazione è ortodosso e i cattolici sono solo il 7 per cento, eppure si vedono migliaia di persone lungo le strade di Bucarest a seguire gli spostamenti del pontefice, al solito su un’utilitaria, la sua visita è seguita con grande attenzione. Sono passati trent’anni da quando il Paese, ha ricordato Francesco, «si liberò da un regime che opprimeva la libertà civile e religiosa e la isolava rispetto agli altri Paesi europei, e che inoltre aveva portato alla stagnazione della sua economia e all’esaurirsi delle sue forze creative». Rispetto ai tempi di Ceausescu è un altro mondo, appena fuori dal centro crescono aziende e centri commerciali. Pur con un governo in grave difficoltà - il leader del partito socialdemocratico Liviu Dragnea è stato appena condannato e arrestato per corruzione -, la Romania ha un’economia vivace, una crescita del pil superiore al 4 per cento, e si sta poco a poco risollevando dalla lunga crisi che negli ultimi decenni ha portato quattro milioni di rumeni a migrare in altri Paesi europei, a cominciare dall’Italia, in cerca di lavoro.

Eppure resta tanto da fare. Occorre «un’anima e un cuore e una chiara direzione di marcia, non imposta da considerazioni estrinseche o dal dilagante potere dei centri dell’alta finanza, ma dalla consapevolezza della centralità della persona umana e dei suoi diritti inalienabili», dice il Papa alle autorità civili. In questo senso «le Chiese cristiane possono aiutare a ritrovare e alimentare il cuore pulsante da cui far sgorgare un’azione politica e sociale che parta dalla dignità della persona e conduca ad impegnarsi con lealtà e generosità per il bene comune della collettività». Bergoglio ricorda «lo spopolamento di tanti villaggi», rende omaggio «ai sacrifici di tanti figli e figlie della Romania che con la loro cultura, il loro patrimonio di valori e lavoro arricchiscono i Paesi in cui sono emigrati», fino ad esclamare: «Pensare a questi fratelli e sorelle che sono all’estero è un atto di patriottismo, di fratellanza, è un atto di giustizia. Continuate a farlo!». Ora si tratta di costruire una «società inclusiva», perché «quanto più una società si prende a cuore la sorte dei più svantaggiati, tanto più può dirsi veramente civile». Francesco lo dice agli ortodossi, in chiave ecumenica, ma le sue parole valgono per tutta la società europea: «Ci rinnovi lo Spirito Santo, che disdegna l’uniformità e ama plasmare l’unità nella più bella e armoniosa diversità. Il suo fuoco consumi le nostre diffidenze».

Nella cattedrale ortodossa, il Papa e il Patriarca - ciascuno per conto proprio: il cammino ecumenico è ancora lungo - recitano il Padre Nostro. E Francesco, nella sua riflessione sulla preghiera di Gesù, parla del «pane quotidiano» e prega: «Ti domandiamo anche il pane della memoria, la grazia di rinsaldare le radici comuni della nostra identità cristiana, radici indispensabili in un tempo in cui l’umanità, e le giovani generazioni in particolare, rischiano di sentirsi sradicate in mezzo a tante situazioni liquide, incapaci di fondare l’esistenza». Il Padre Nostro, spiega, «non è una preghiera che acquieta ma un grido di fronte alle carestie di amore del nostro tempo, di fronte all’individualismo e all’indifferenza che profanano il nome tuo, Padre». Poi sospira: «Aiutaci, Padre, a non cedere alla paura, a non vedere nell’apertura un pericolo, ad avere la forza di perdonarci e di camminare, il coraggio di non accontentarci del quieto vivere e di ricercare sempre, con trasparenza e sincerità, il volto del fratello». Di rado le parole di Francesco sono state così solenni: «Aiutaci, Padre, a non cedere alla paura, a non vedere nell’apertura un pericolo, ad avere la forza di perdonarci e di camminare, il coraggio di non accontentarci del quieto vivere e di ricercare sempre, con trasparenza e sincerità, il volto del fratello. E quando il male, accovacciato alla porta del cuore, ci indurrà a chiuderci in noi stessi; quando la tentazione di isolarci si farà più forte, nascondendo la sostanza del peccato, che è distanza da Te e dal nostro prossimo, aiutaci ancora, Padre».

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