25 giugno 2018 - 08:25

I Nomadi e Roma tra Benigni, Berlinguer e il Vaticano

Beppe Carletti, leader della band, è autore di un "memoir" nel quale parla (anche) della Capitale

di Peppe Aquaro

I Nomadi (Aquaro) I Nomadi (Aquaro)
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I Nomadi e Roma? «È sempre stato amore a prima vista», racconta Beppe Carletti, leader della band emiliana con 55 anni di carriera alle spalle, che ne fanno il gruppo più longevo d’Italia. Da festeggiare con un libro-racconto, «Questi sono i Nomadi e io sono Beppe Carletti», pubblicato in questi giorni da Mondadori. Se ne scoprono di cose tra le 156 pagine scritte in primissima persona dal tastierista Beppe, mentre dialoga con il suo eterno amico e cofondatore dei Nomadi, Augusto Daolio. La “Voce”, scomparsa nell’ottobre del 1992. Ma a sentire, o leggere, Carletti, è sempre lì con loro, “Ago”, punto di riferimento imprescindibile.

La ragazza di via Condotti

 Quanto amici, i due? «Da sfidare tutto e tutti, comprese le dicerie riguardo a una separazione dei Nomadi, che non c’è mai stata, nel 1967», dice Carletti. E Roma c’entra, eccome. «Lo accompagnai io stesso Augusto a Roma per incidere ‘Una ragazza come tante’, un motivetto utilizzato nella colonna sonora del film, ‘La ragazza di via Condotti’: Ago incise il disco, buona la prima, e ce ne ritornammo a casa, a Novellara, vicino Reggio Emilia, in giornata». Il compositore Enrico Simonetti aveva scritto il brano. Riascoltandolo oggi, reggerebbe alla grande in un qualsiasi film dell’agente 007. E Daolio, figuriamoci, lo cantò divinamente. 

Ci vediamo alla Rai

 Nessun sosta da turisti in quell’occasione. Contrariamente alle altre volte, quando i Nomadi erano ospiti in un programma Rai, e alloggiati allo storico Hotel Clodio, in zona Mazzini. «È’ un quartiere, una zona di Roma, che amo: ci sono affezionato per molti motivi», spiega Beppe, il quale, non ci giurerebbe, ma ricorda di averci dormito con la band anche nel 1983. «Gli anni ’80 non sono stati proprio il massimo per noi: cambiavano gusti, mode, però abbiamo fatto in tempo ad assistere a qualcosa di straordinario». Eh già, è come se fossero stati catapultati sul set del film Il Pap’occhio di Renzo Arbore. 

Incontro storico

 Metà di giugno del 1983. Terrazza del Pincio. I Nomadi sono invitati a suonare per una festa della pace organizzata dalla Federazione dei giovani comunisti. Sul palco c’è Roberto Benigni e alle sua spalle, a non più di tre metri, la band. Benigni, finito il suo show, invita a salire sul palco l’allora segretario del Partito comunista italiano, Enrico Berlinguer. Fin qui, tutto nella norma. Berlinguer fa il suo ingresso e abbraccia Benigni. Solo che, il Benignaccio nazionale solleva il segretario, lo prende in braccio e, facendolo roteare, sembra cullarselo. L’immagine è storica e fa il giro del mondo. «Ciò che non tutti sanno è che Berlinguer, finito il concerto, si avvicinò a noi con un pezzetto di carta in mano, chiedendoci un autografo per sua figlia Bianca», spiega Carletti, che aggiunge: «E anche Benigni si avvicinò, dicendoci di averci visto suonare nei primi anni ‘70 a Vergaio, dalle sue parti, in Toscana». 

Da piazza del Popolo ad Albano Laziale

 Quella dei Nomadi e i concerti nella provincia italiana è un’altra delle loro caratteristiche. Tra i cinquemila e passa concerti della loro vita artistica, quello del prossimo 3 agosto, tappa del tour “Nomadi tutta la vita. Tour 55” sarà ad Albano Laziale. «Lo scorso gennaio, invece, abbiamo suonato all’Auditorium Parco della Musica; e negli anni scorsi, vado a memoria, sia in piazza Navona che in piazza del Popolo». Del resto, esiste un fan club romano dei Nomadi molto attivo e che li segue ovunque. Chissà se c’erano anche durante il concerto davanti a Papa Wojtyla, in piazza San Pietro, esattamente vent’anni fa. 

Era il tempo delle Messe Beat

 Vaticano (o Roma d’oltre Tevere) e Nomadi? Amore e amore. «Radio Vaticana fu l’unica emittente a trasmettere la nostra canzone, scritta da Francesco Guccini, ‘Dio è morto’, che è diventata il brano-simbolo della band, per diverse generazioni». Mentre la Rai censurò quel brano. «Nelle parrocchie, però, in quegli stessi anni, andavano di moda le cosiddette ‘Messe Beat’, con band parrocchiali che cercavano di invitare, in un modo alternativo, più fedeli alle celebrazioni: bene, Dio è morto era più suonata degli stessi campanili delle parrocchie», dice, e se la ride, Beppe. Un po’ sornione e quasi romano. Ma ecco, come se fossimo dentro al Colosseo, la prova del fuoco: meglio Roma o Milano? «Direi Roma. Ma resto un uomo di provincia, che si muove a piedi o in bicicletta per andare a comprare il pane fresco alle sei del mattino».

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