7 settembre 2018 - 07:50

Scatti da Israele, raccontare la Storia (e le storie) per immagini

In mostra al Museo di Roma in Trastevere gli scatti di David Rubinger, morto l’anno scorso a 92 anni dopo una vita da fotoreporter

shadow

Raccontare un Paese non solo attraverso la grande Storia, ma documentando il fascino discreto della vita quotidiana e i gesti comuni di personaggi cruciali: è quanto ha fatto David Rubinger, scomparso l’anno passato a 92 anni, per sessanta testimone fedele con la sua macchina fotografica dei cambiamenti avvenuti in Israele. Rubinger è entrato nella carne viva di un popolo, e ora una mostra promossa da Roma Capitale con la Comunità ebraica di Roma e l’ambasciata d’Israele in Italia al Museo di Roma in Trastevere ne illustra l’attività: una settantina di immagini in bianco e nero fra le più simboliche e significative. Anche se tutto, nella produzione di Rubinger, ha i contorni della necessità. La curatrice è Edvige Della Valle, dalla cui collezione privata provengono le immagini.

«I soldati nella Guerra dei Sei Giorni»

È il 7 giugno 1967 quando Rubinger ritrae tre soldati israeliani davanti al Muro del pianto, nella Guerra dei Sei Giorni. «Ciò che ha reso significativa quella foto sono state le circostanze in cui fu scattata – amava ricordare - ed è stato questo che l’ha resa il simbolo in cui si identifica la gente». Per la giusta inquadratura si era dovuto rannicchiare in un minimo anfratto, fino quasi a scomparire.

Giorgia Calò: «Situazioni intime e ufficiali»

Precisa Giorgia Calò, assessore alla Cultura e all’archivio storico della Comunità ebraica di Roma: «Per lui aveva la stessa importanza, ritrarre situazioni intime o ufficiali. Così Golda Meir è rappresentata mentre imbocca suo nipote, e nel momento di preparare il caffè. Shimon Peres riordina i volumi della sua libreria in pantaloncini. Ehud Olmert viene sorpreso ad aiutare la moglie in cucina. Quadretti domestici, all’apparenza, che senza retorica mettono in scena le grandi sfide dello Stato ebraico». Ancora, giovani che nel 1947 festeggiano la risoluzione per la fondazione dello Stato d’Israele; l’abbraccio di due fratelli all’indomani dell’operazione Salomone che portò migliaia di ebrei etiopi in Israele; Giovanni Paolo II, e quel gesto rivoluzionario di infilare in una fessura del Muro del Pianto la preghiera per il perdono e la fratellanza.

Nella Brigata Ebraica la sua prima macchina fotografica

Rubinger non cercava lo scoop, ma l’identità. Nato in Austria, lasciò il suo Paese nel ’39 e si trasferì in Medioriente per sfuggire alle persecuzioni antisemite. Combatté il nazismo arruolandosi nella Brigata Ebraica dell’esercito britannico, per tornare poi in Israele, al collo una Argus regalatagli da un’amica francese. Fotoreporter per HaOlam HaZeh, Yediot Ahronot e per The Jerusalem Post, è stato anche l’inviato in Israele di testate prestigiose come Time e Life: l’unico autorizzato a scattare nella mensa della Knesset, il Parlamento israeliano. E primo fotografo a ricevere l’Israel Prize. Una vita scandita da cinquecentomila scatti. E una esibita inconsapevolezza. «Ottima foto» si complimentò sua moglie per una foto divenuta epocale. Ma lui fece spallucce, non prendendola sul serio.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

© RIPRODUZIONE RISERVATA
ALTRE NOTIZIE SU CORRIERE.IT