29 agosto 2018 - 22:41

De Mita non corre da sindaco: lascio la politica, non il pensiero politico

«M5S e Lega sono solo azione e il Pd è fermo». L’identità democristiana:

di Tommaso Labate

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«Quando iniziò il declino della Dc, e a un convegno si discuteva su quello che bisognava o non bisognava fare, chiusi il mio intervento citando un poeta spagnolo: “Quando morirò, seppellitemi con la mia chitarra”. Da allora sono passati quasi trent’anni. E visto che sono ancora in tempo per cambiare idea, cambio il messaggio. Quando morirò, seppellitemi con un biglietto in cui c’è scritto “sono stato democristiano”».

Poi Ciriaco De Mita ha un riflesso talmente rapido che di anni, invece che 90 e mezzo,, sembra ne abbia tanti di meno. Come se una nota della frase gli fosse apparsa stonata, da riscrivere.

«Aspetti. Non “sono stato”. Nel biglietto ci dev’essere scritto “sono democristiano”, al tempo presente».

Ha detto che non si candiderà più a sindaco di Nusco. Segno che l’impegno politico ormai è al passato?

«Vede, io ragiono in giorni. E spero che i giorni durino più a lungo possibile. Se legassi il mio impegno politico all’essere sindaco a Nusco, qualcuno potrebbe pensare che mi sono rincoglionito».

Però lascia le cariche elettive. È la fine di un’epoca.

«Lascerò la carica di sindaco. Ma non posso lasciare il metodo di pensare dialettale che mi accompagna sin da quando ero bambino. Per questo, dopo il voto del 4 marzo scorso, ho avuto un blocco di pensiero molto profondo, che mi ha portato a rivedere i termini dell’impegno in una piccola comunità come quella dell’Alta Irpinia. Vede, la forma dialettale, basica, tutto sommato semplice del mio pensiero prevede che prima si pensa e poi si agisce. E che senza un pensiero forte, l’azione sarà vacua, debole, a volte nulla».

Dice che non c’è un pensiero forte nell’azione dei vincitori del 4 marzo?

«La funzione dei grillini è stata salutare fino a che non sono arrivati al governo. Denunciando le distorsioni delle ultime classi dirigenti della Seconda Repubblica, erano come i malati che si lamentavano giustamente ad alta voce, provando a destare dal torpore un medico assonnato. Ora il malato ha finito per sostituirsi al medico e impone lui la cura per tutti, leggasi per l’Italia. Lo sa come finisce in questi casi, no?».

Lo dica lei.

«Finisce che si muore».

La Lega è diversa?

«È diversa nella misura in cui ha un leader che si pone come un messia, che però non ha dietro alcun vangelo. In comune, Cinquestelle e Lega hanno l’essere solo azione. Dietro non c’è alcun pensiero. Ecco perché, per uno come me, abituato a pensare prima che ad agire, adesso è tutto più difficile».

Nel volersi far ricordare come democristiano, c’è il timore che questo Paese veda una deriva autoritaria?

«Non ci sarà un mutamento di regime ma un mutamento dell’ordine politico sì. Le derive autoritarie sono spesso figlie di rivoluzioni in cui si fa coincidere l’azione col desiderio. Cinquestelle e Lega non hanno neanche quello, il desiderio. Non possono nemmeno allearsi, perché gli uni spopolano là dove si chiede aiuto, gli altri dove vince lo status quo. Ma a preoccuparmi davvero è il silenzio delle forze storiche del Paese, ridotte come sono a un perenne conflitto meschino tra personaggi in decadenza, autocostretti in un angolino in cui non si riflette, non si produce pensiero».

Ce l’ha con Renzi, il Pd, con Forza Italia, con Berlusconi, con chi?

«Nella prima Repubblica lo scontro tra pensieri molto diversi e a volte confliggenti produceva avanzamento, futuro, progresso. In fondo, l’idea di Moro e anche mia della solidarietà nazionale voleva portare a compimento questo processo. Poi sono arrivati quelli che si sono semplicemente alternati nella gestione del potere, una volta l’uno, poi l’altro. L’oggi è figlio di quel minuetto».

Il Pd ha ancora un senso, secondo De Mita?

«Quando passi dal 41 per cento al 18 vuol dire che hai scambiato per una pista da ballo una semplice lastra di vetro. Che ha un certo punto si è rotta. Il Pd oggi è come Garibaldi in Sicilia».

Prego?

«Quando stava in Sicilia, e gli dissero di ritirarsi, Garibaldi rispose: “Sì, ma dove?”. Così è il Pd. Pure se si ritira, non sa dove andare. E quando non sai dove andare, la massima velocità che riesci a raggiungere è rimanere fermo».

Si sente solo, De Mita?

«No. Se vado in giro, di gente che vuole ancora pensare ne trovo tantissima. Parlo tanto con Massimo Cacciari, per esempio. E anche con molti della vecchia sinistra che ha rifiutato il Pd. Soltanto col pensiero si esce da questo periodo. “Questo Paese non si salverà, la stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà effimera, se in Italia non nascerà un nuovo senso del dovere”, disse una volta Moro. Vale ancora più oggi che la volta in cui Moro lo disse».

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