27 maggio 2018 - 00:44

Politica, Di Maio prova a mediare, ma Di Battista va già oltre: «Se si vota, io mi candido»

Dossier e veleni del Movimento. Sul capo piomba l’ombra dell’altro leader che in tv dice: «Se questo governo salta, io mi ricandido. Ci metto la faccia».

di Alessandro Trocino

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Partirò. Parto. Forse parto. Anzi non parto più o se parto, torno prima. Il tormentone del viaggio pluriannunciato potrebbe finire con un colpo di scena. Perché la sempre imminente vacanza-lavoro negli States di Alessandro Di Battista, intenzionato a tornare per un po’ alla sua vecchia passione di reporter, potrebbe saltare. Coup de théâtre annunciato in tv da Massimo Gramellini: «Le dico una cosa che non ho mai detto prima. Se questo governo salta, io mi ricandido. Ci metto la faccia». Promessa entusiasmante per i fan. Quasi una minaccia per Luigi Di Maio, la cui riconferma da aspirante premier vacillerebbe.

Da giorni il Movimento ondeggia, stretto tra la tenaglia di una Lega tatticamente abilissima e tentata dall’avventura di un ritorno al voto, e una fedeltà al Quirinale che finora è stata sempre elogiata e apprezzata. Ieri mattina Di Battista — subito seguito da Manlio Di Stefano e altri ortodossi e descamisados — lancia l’assalto alla Bastiglia-Quirinale (copyright di Di Battista padre): «I veti del Colle sono inaccettabili». Parole durissime che gettano nello sconforto il cauto Di Maio, da giorni pazientemente intento a ricucire la tela, continuamente strappata da Salvini. L’allarme dell’inner circle dimaiano sale dopo le prime esternazioni mattutine: «Ale vuole tornare. Per questo alza la voce e attacca il Quirinale. Vuole far saltare tutto e candidarsi a premier al posto di Luigi».

All’inizio sono solo sospetti generici, illazioni non suffragate da prove. Anche perché Di Battista incalza: «Tornare al voto sarebbe inaccettabile». Ma a sera le parole dette a Gramellini vengono avvertite come una conferma. E come uno schiaffo. Perché Di Maio giorni fa aveva detto che nel caso di fallimento di governo e di ritorno alle urne entro i prossimi mesi, il candidato premier dei 5 Stelle sarebbe stato ancora lui. Sarebbe davvero così se si andasse alle urne in autunno? L’ombra di Di Battista si fa sempre più ingombrante. E i nemici di un accordo con la Lega non sono pochi. Roberto Fico è stato neutralizzato con la presidenza della Camera. Ma tra gli irrequieti, se non contrari, ci sono Luigi Gallo, Paola Nugnes e Elio Lannutti.

Di Maio ribadisce da giorni la sua volontà di andare al governo, sia quel che sia. Perché sa bene che questa potrebbe essere la sua ultima occasione. Perché non è scontato un successo del Movimento a eventuali elezioni future. E perché sa bene che, in caso di fallimento, potrebbe essergli addebitato l’onere della sconfitta, con conseguente subentro di un nuovo generale (sempre lui, Di Battista).

Per questo media, tratta e prova a portare a casa il risultato. Auspicato anche da Davide Casaleggio: «Troveremo una soluzione». E per questo sta accettando il ridimensionamento dei suoi uomini. Come potrebbe accadere per Vincenzo Spadafora, responsabile delle relazioni istituzionali, e per Laura Castelli. Vittime del fuoco incrociato di dossieraggi e spionaggi. Nella visione onirica e tendenziosamente affettiva di Beppe Grillo, il Movimento 5 Stelle doveva essere «un corpo solo, un’anima sola». Un luogo immateriale dove tutta la «comunità» navigava insieme verso il bel sol dell’avvenire. Ma la realtà è impietosa. E così ormai da giorni volano dossier, veline, soffiate, chat. L’obiettivo è la character assassination, la distruzione della credibilità e della reputazione del rivale. Metodo già usato più volte nel Movimento. Basti pensare al dossier su Marcello De Vito, alla registrazione diffusa ad arte di Ugo Forello e alle lettere anonime contro Roberto Cotti (che poi non fu ricandidato).

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