28 settembre 2018 - 07:42

«Raggi in Consiglio dei ministri» Votata la mozione per la Capitale

Ipotizzata la riforma del federalismo fiscale con autonomia di entrate e di spesa. La protesta di Fratelli d’Italia: «Nessun cenno ai maggiori poteri e alle risorse finanziarie, così i Cinque stelle prendono in giro i romani»

La Camera dei deputati (Imagoeconomica) La Camera dei deputati (Imagoeconomica)
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A meno di una settimana dall’incontro a Palazzo Chigi tra Virginia Raggi e il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, ieri la maggioranza legastellata alla Camera ha approvato una mozione su Roma Capitale. Il testo, primo firmatario il deputato M5S Francesco Silvestri, impegna il governo ad attuare una serie di iniziative, tra l’altro al fine di «rafforzare l’ordinamento» della città eterna nella cornice del «decentramento amministrativo», come previsto dal titolo quinto della Costituzione. Propedeutica al piano di rilancio — sul quale la sindaca si è spesa anche con il precedente governo a trazione Pd salvo entrare in rotta di collisione con l’ex ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda — «un’azione normativa idonea al potenziamento del ruolo della città di Roma quale Capitale della Repubblica». Tra gli obiettivi, si legge ancora nel documento, «approfondire nelle sedi opportune i principali conflitti di competenza tra Roma Capitale, Regione Lazio, Città metropolitana e Stato».

Un punto, in particolare, sottopone all’esecutivo l’ipotesi di «coinvolgere il sindaco nelle riunioni del Consiglio dei ministri, all’ordine del giorno delle quali siano iscritti argomenti inerenti, a vario titolo, alle funzioni conferite a Roma Capitale». Passaggio che sottende quanto già delineato nel colloquio tra Raggi e il premier Conte, ovvero la creazione di una cabina di regia permanente che riprenda in mano «Fabbrica Roma» (il pacchetto di misure per rivitalizzare il tessuto economico-produttivo della città) in una forma diversa rispetto ai tentativi (abortiti) di collaborazione con l’ex governo Gentiloni. La nuova versione prevede non più singoli tavoli tecnici aperti con i dicasteri competenti, ma un interscambio diretto con Palazzo Chigi, allargato sì ai ministri e alle associazioni di categoria (imprese e sindacati) ma strutturato in forma unitaria e incardinato in sede centrale. Con Raggi che, in questo assetto, potrebbe confrontarsi alla pari con gli altri interlocutori istituzionali. Un altro elemento chiave sul quale si sofferma la mozione è «la riforma del federalismo fiscale (in linea con l’attuazione dell’articolo 119 della Costituzione) che prevede non soltanto l’equilibrio dei bilanci degli enti locali, nel rispetto dei vincoli economici e finanziari previsti dall’Unione europea, ma anche l’autonomia di entrata e di spesa».

E però il richiamo, finanche lessicale, alla devolution da sempre cara al Carroccio scatena le proteste delle minoranze, in primis Fratelli d’Italia, con la leader Giorgia Meloni che attacca: «Nella mozione non c’è scritto niente, nel dispositivo non vengono mai citate le parole “poteri” e “risorse”. Questa mozione è una super cazzola con cui avete voluto dire che ci state prendendo in giro e che a Roma non darete niente, perché per voi è una città che deve perire. L’unica cosa che conta è far fare una bella passerella alla Raggi e a Conte».

Il collega di partito, nonché vice presidente della Camera Fabio Rampelli, accusa i pentaleghisti di aver inscenato una «farsa». «La maggioranza ha bocciato la nostra mozione approvata pochi giorni fa, identico testo, in Campidoglio. Al suo posto ne è stata approvata una senza impegni finanziari che subordina, per ordine della Lega Nord, i nuovi poteri e le nuove risorse per la Capitale alla revisione del sistema delle autonomie. Insomma, siamo destinati a non avere una Capitale degna di questo nome finché non conferiamo l’autonomia fiscale al lombardo-veneto».

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