15 luglio 2018 - 13:41

Zago: «A Roma mi sento a casa. Chiamerò Di Francesco, è un amico»

Protagonista in campo del terzo scudetto della squadra giallorossa, l’ex calciatore brasiliano ora sogna di fare l’allenatore. «Mi sono iscritto a Coverciano. Vorrei seguire gli allenamenti a Trigoria. Il Brasile eliminato ai Mondiali? Non me l’aspettavo»

di Gianluca Piacentini

Zago quando giocava nella Roma Zago quando giocava nella Roma
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Un campione d’Italia è per sempre, almeno nella Roma. Per questo Antonio Carlos Zago, protagonista del terzo scudetto nel 2001, ogni volta che torna si sente a casa. In questi giorni si trova nella Capitale, e ci rimarrà per molti mesi: «Mi sono iscritto al corso di Coverciano, lo scorso anno ho ricevuto due proposte per allenare in Turchia ma non le ho potute accettare senza abilitazione». Perché, nel frattempo, Antonio Carlos ha deciso di fare l’allenatore. La voglia gliel’ha fatta venire il suo maestro Zeman, che nel 2012 lo ha voluto come collaboratore a Trigoria.

Che ricordi ha di quell’esperienza?
«Non finì benissimo. Nella squadra c’erano calciatori che facevano quello che volevano, lui fu esonerato, io ho terminato la stagione ma con Andreazzoli ero un po’ ai margini. Poi sono andato allo Shakhtar con Lucescu e in Brasile ho allenato il Palmeiras, l’Internacional di Porto Alegre, la Juventude e il Fortaleza».

Ora c’è il suo amico Di Francesco.
«Nei prossimi giorni gli farò una telefonata, vorrei assistere ai suoi allenamenti. Non lo sento da un po’ ma eravamo molto legati, ci frequentavamo, le nostre mogli erano amiche».

Se lo aspettava così bravo?
«No, come allenatore vedevo più Tommasi, era quello che parlava più di tattica. Ora mi dicono che è un martello, che è molto meticoloso. Ha fatto il percorso giusto, è cresciuto a Sassuolo, è sempre stato un ragazzo intelligente. Sa proporre bene il suo lavoro, si vede che i giocatori lo ascoltano».

Lo scorso anno ha seguito la Roma?
«Sì, ma dalla tv non è lo stesso. Ero all’Olimpico contro il Barcellona: la partita perfetta. Il merito è dei calciatori, ma anche suo che li ha convinti che non era un’impresa impossibile. Quelle partite si vincono più con la testa che con la tattica».

E con i grandi giocatori.
« La Roma ce li ha. Uno è Alisson, che con Courtois e Neur è tra i migliori al mondo, in Brasile si sapeva che era un predestinato. Ora magari lui ha l’ambizione di giocare nel Real Madrid, che è la squadra più importante al mondo, ma da tifoso spero che resti, perché se ogni anno partono i campioni non è facile vincere».

Per questo la Juventus ha preso Cristiano Ronaldo?
«Il suo arrivo è una grande opportunità per il calcio italiano, ma la Juventus lo ha scelto per vincere la Champions League».

Tra i nuovi acquisti della Roma, su chi punterebbe?
«Kluivert mi ha impressionato, è veloce e salta l’uomo. Pastore ha fatto una grande esperienza al Psg, c’è bisogno di calciatori come lui».

Nella Roma c’è un difensore che le somiglia?
«Un po’ Fazio, ma io forse ero più rapido. Manolas è quello che mi piace di più. La Roma in difesa è ben coperta con Juan Jesus e Marcano».

Giovani brasiliani da suggerire?
«Luan del Gremio è un campione, non so come mai giochi ancora in Brasile. Alla Roma consiglio Lucas Paquetà del Flamengo, è una mezzala del ‘97: ha corsa, progressione e segna tanto. Un affare».

In Brasile anche Gerson era considerato un fenomeno.
«Ha tutto per diventare un titolare della Roma. E’ ancora giovane, ma deve sbrigarsi a crescere, magari deve andare in una squadra più piccola e giocare».

Non tutti i brasiliani riescono ad adattarsi al campionato italiano.
«Se vai in un posto devi integrarti, io mi sono trovato bene anche in Turchia e in Giappone. Ai miei tempi c’era Fabio Junior, era bravo ma pretendeva di mangiare solo fagioli e stava sempre chiuso in casa. Un altro fenomeno era Rogerio Vagner, è un mistero che non sia diventato un campione».

Si aspettava l’eliminazione del Brasile dal Mondiale?
«No, avevamo fatto un grande percorso di preparazione, vincendo quasi sempre. Chi lavora nel calcio, in Brasile, dovrebbe fare un esame di coscienza, speriamo nel prossimo Mondiale».

Un ricordo dello scudetto?
«Ho rischiato di non esserci. Mi voleva il Milan, mi avrebbero dato un sacco di soldi e non avevo un grande rapporto con Capello, che non mi faceva giocare. Dopo l’eliminazione con l’Atalanta in Coppa Italia, e la contestazione dei tifosi, un giorno ci siamo incontrati in sauna. Eravamo soli, dopo cinque minuti di silenzio mi ha detto: “Domenica giochi”. Era la prima di campionato col Bologna, da lì è partita la cavalcata. Se fossi andato al Milan avrei vinto la Champions, ma lo scudetto a Roma è imparagonabile».

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