True Detective: recensione della terza stagione

Il ritorno di Nic Pizzolatto non eguaglia il successo della prima stagione, ma conquista gli spettatori con un nuovo caso angosciante

True Detective: recensione della terza stagione
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Era il 2014 quando lo sceneggiatore statunitense Nic Pizzolatto sfruttò magistralmente pochi elementi narrativi per portare nel panorama televisivo una ventata di gradevole novità. Il taglio cinematografico dato alla prima stagione di True Detective, unito a un'ambientazione decadente e soffocante, a un atroce crimine a sfondo esoterico e alla recitazione indimenticabile di Matthew McConaughey e Woody Harrelson hanno contribuito al successo di questa serie, nonché alla raffica di riconoscimenti piovuta su attori, autori e tecnici. Dopo una seconda stagione lenta, traballante e poco convincente nel 2015, difficile da risollevare nonostante le valide interpretazioni di Colin Farrell, Vince Vaughn, Rachel McAdams, Kelly Reilly e Taylor Kitsch, Nic Pizzolatto ci riprova, dando ascolto a un pubblico che reclamava a gran voce la fosca profondità della prima stagione.
La terza stagione di True Detective, andata in onda su Sky Atlantic, riesce a recuperare dal passato la regia precisa al dettaglio (affidata stavolta a Jeremy Saulnier, Daniel Sackheim e allo stesso Pizzolatto), l'indagine psicologica delle figure in gioco e la recitazione impeccabile di attori pluripremiati, rendendo evidente (seppur impari) il confronto con la prima stagione. Tra momenti di lentezza e qualche difetto, il nuovo True Detective è tornato a fare quello che sapeva fare meglio: raccontare un crimine angosciante e i drammi di personaggi calati in una società ostile.

Un crimine agghiacciante, tra pedofilia e razzismo

Arkansas, piana di Ozark, 7 novembre 1980. Una comunità statica e retrograda viene scossa da un fatto terribile, uno di quegli avvenimenti a cui nessuno vorrebbe mai assistere, in grado di devastare una famiglia e di piantare nella collettività il seme del dubbio. Due bambini, fratello e sorella, scompaiono da un giorno all'altro. Tra testimonianze inconsistenti e indizi confusi si fanno strada i detective Wayne Hays (un fantastico Mahershala Ali) e Roland West (Stephen Dorff), che passano al vaglio testimonianze e ipotesi per andare a fondo di una vicenda apparentemente sempre più legata alla pedofilia.

La diffidenza dei membri della comunità cresce, scagliandosi contro i membri più isolati della società ed esasperando un clima di discriminazione e razzismo già molto delicato, che non risparmia lo stesso Hays. A raccontare i fatti avvenuti negli anni ‘80 è proprio Hays negli anni ‘90, dopo la scoperta di nuovi dettagli sul caso, e nel 2015, durante un'intervista per un programma televisivo crime. Il detective è però tormentato da ricordi sempre più evanescenti, la cui veridicità è minacciata dall'avanzare di una drammatica demenza senile.

Una stagione che non regge il confronto con la prima, ma che conquista il suo pubblico


Si prova uno strano senso di déjà vu nell'approcciarsi all'inizio di questa terza stagione. Cambia il luogo, ma non l'ambientazione angosciosa, è diverso il crimine, ma non la sua capacità di scavare nell'animo umano per far emergere il marcio che esso nasconde. I riferimenti alla prima stagione sono palesi e voluti (amplificati da una precisa menzione al caso seguito in passato da Rustin "Rust" Cohle e Marty Hart), ma mettono anche in luce l'incapacità della nuova stagione di tenere testa alla prima. Si recuperano stilemi narrativi, si tenta di rimettere in gioco una coppia di detective dalle personalità quasi opposte come lo erano stati in passato Cohle (McConaughey) e Hart (Harrelson), ma la collaborazione tra Hays e West non riesce ad abbandonare una certa inconsistenza fino alla seconda metà di stagione.
È in particolare il personaggio interpretato da Dorff a mostrarsi nei primi episodi quasi impercettibile (forse per focalizzare l'indagine psicologica tutta sul personaggio di Hays e sui suoi problemi di memoria), ma qualunque siano le motivazioni, questa nuova coppia mostra inizialmente una complessità emotiva ben diversa da quella che trasuda dal sodalizio tra McConaughey e Harrelson, intenso anche grazie alla forte incompatibilità tra i due detective.
Wayne Hays e Roland West appaiono qui inizialmente come una versione edulcorata di Cohle e Hart, riuscendo però ad approfondire il rapporto verso le battute finali - non senza qualche istante di forte emotività e commozione - e salvando dall'evanescenza un rapporto professionale e umano dalle buone potenzialità.

Anche il rapimento dei bambini sembra essere volutamente collegato al delitto della prima stagione. Sono in particolare le bamboline ritrovate nei pressi dei luoghi più significativi dell'indagine a ricordare i feticci di legno rinvenuti da Cohle e Hart, così come i numerosi riferimenti alla pedofilia e la menzione dell'indagine seguita proprio dai due detective. Questo spasmodico tentativo di collegare il grande ritorno di True Detective all'enorme successo dei suoi esordi riesce a conquistare il pubblico che tanto aveva amato la prima stagione, ma al tempo stesso sottolineano la netta inferiorità psicologica tra i due prodotti. Nic Pizzolatto ha tuttavia dimostrato di aver ancora molto da dire. Grazie a una narrazione valida, seppur un po' lenta (caratteristica che sembra essere in ogni caso il suo marchio di fabbrica), e all'inquietudine donata da un caso di cronaca terribile, delicato e tristemente sempre attuale, la terza stagione di True Detective non ha deluso le aspettative e ha saputo conquistare gli spettatori che desideravano il ritorno di personalità disturbate e protagonisti scossi da drammi personali.

A complicare l'intreccio, la coesistenza di diversi piani temporali e un testimone inaffidabile

Se la complessità psicologica della coppia di detective si è percepita meno, non si può dire lo stesso dell'indagine introspettiva riservata a Wayne Hays. È il talento attoriale di Mahershala Ali (vincitore dell'Oscar come miglior attore non protagonista per Green Book) a fornire a questa stagione gran parte della sua carica drammatica e a complicare notevolmente la vicenda. Meravigliosa l'interpretazione di Ali di un uomo ormai anziano e sconvolto da una memoria a pezzi, performance resa ancora più credibile da un trucco eseguito a regola d'arte. Incapace di ricordare con precisione gli eventi tra gli anni ‘80 e ‘90 e frequentemente confuso da allucinazioni, Wayne Hays è il testimone più inaffidabile di tutti, nonostante sia proprio lui ad aver portato avanti le indagini. È questa costante incertezza a rendere la vicenda ancora più interessante, nonché capace di scavare a fondo nell'emotività dei personaggi; tutto viene rimesso in discussione, niente è certo, ma l'obiettivo di Hays di risolvere il delitto anche a distanza di anni lo porta a ricontattare il vecchio partner, permettendoci di provare vera empatia per questa coppia di detective, il cui rapporto viene finalmente approfondito e sfruttato al meglio per la risoluzione del caso.
La coesistenza di tre diversi piani temporali - l'inizio del caso negli anni ‘80, il racconto di Hays negli anni ‘90 e l'intervista confusa del 2015 - riesce infine a donarci un po' di piacevole dinamismo, che impedisce alla terza stagione di True Detective di cedere alla propria stessa lentezza e le permette ancora una volta di affascinare, nonostante qualche limite, gli spettatori.

True Detective - Stagione 3 True Detective si dimostra ancora una volta una serie capace di portare sullo schermo un'indagine profonda dell'animo umano e l'esplorazione inquietante di personalità immerse in una società ostile. Nonostante un'evidente inferiorità rispetto agli esordi e qualche istante di lentezza, questa terza stagione si riconferma un prodotto ben realizzato, dal taglio estetico cinematografico e ricco di performance eccellenti.

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