Il best-seller di Roberto Saviano, Gomorra (2006), ha contribuito a portare sul palcoscenico dei media il fenomeno delle mafie e le relative peculiarità. Sono stati realizzati un film ed una serie televisiva, non privi di polemiche. Innanzitutto parliamo di mafie e non di mafia, in riferimento alle varie formazioni criminali, tra cui Cosa Nostra, ‘Ndrangheta, Camorra. Le origini risalgono all’Ottocento siciliano, nel contesto delle coltivazioni degli agrumi. Con il boom economico degli anni ’50-’60 del Novecento, vi è stato un parallelo sviluppo delle cosche. Il termine cosca si riferisce alla parte interna del carciofo, protetta da foglie spinose: la struttura del vegetale è simile all’organizzazione dei clan. Tra i primi studiosi ad occuparsi del tema: Leopoldo Franchetti (1876), Giuseppe Pitrè (1889), Antonio Cutrera (1900), Henner Hess (1970), Anton Blok (1974), Boissevain (1974), Jane e Peter Schneider (1976), Giuseppe Alongi (1977), Gianni Mosca (1980).

Il ruolo delle donne

Le mafie, nel contesto italiano, vertono su alcuni elementi: esistenza di un’organizzazione, controllo del territorio, utilizzo risolutivo della violenza, intimidazioni, rapporti con la politica, corruzione di funzionari pubblici ed illeciti (Dalla Chiesa, 2015), rigida gerarchia ed accumulazione dei profitti (Paoli, 2002), anche tramite il cosiddetto “pizzo” (significa estorsione); aggiungo solidarietà e protezione da una parte di popolazione come riverenza ai boss e nella speranza di un “lavoro” (o, più semplicemente, per timore). Un’altra caratteristica è la presenza delle donne, in una sorta di matriarcato occulto (Siebert, 2003), ovvero figure femminili sono da sempre presenti nell’universo mafioso, ma, al tempo stesso, dotate di un certo grado d’invisibilità, successivamente interrotto con l’arresto mostrato da telegiornali e stampa. Le donne di mafie agiscono nell’ombra, assumono un ruolo attivo, possono prendere il comando, se il marito è in prigione. Non a caso, boss e consorte vengono appellati “Don” e “Donna” seguiti dal nome di battesimo, appunto per evidenziarne l’importanza. Il rapporto madre–figlio è un legame fondamentale, anche nella cultura mafiosa (Siebert, 2003; Longrigg, 1997); così come il matrimonio rappresenta uno strumento di fortificazione di un’alleanza.

Famiglia e onore

Le mafie rappresentano una sorta di sistema sociale tradizionale incentrato sul concetto di famiglia (Ianni, 1975) e onore. L’onore si collega al fatto di eseguire un ordine, come un omicidio, senza porre quesiti. I clan mafiosi si basano sull’intersecarsi di diverse dimensioni: criminale, sociale (danni ad individui e comunità, mancato sviluppo economico) e finanziaria. Infatti le teorie più accreditate li correlano ad un fenomeno sociale di tipo deviante che deriva da uno specifico assetto culturale (Hess, 1970), o da una struttura di rapporti economici e sociali (Schneider e Schneider, 1976; Arlacchi, 1983; Catanzaro, 1988), una vera e propria istituzione economica (Gambetta, 1992). Contro il pregiudizio che le organizzazioni criminali siano esclusivamente italiane, è necessario sottolineare l’esistenza di altre tipologie in base all’etnia: ad esempio, statunitense, albanese, giapponese, russa (Sergi, 2016).

Affari criminali

In quali ambiti agisce la criminalità organizzata? Nel mercato degli stupefacenti, nel traffico di persone e di armi, nel contrabbando, nel riciclaggio di denaro (Sergi, 2016), nello smaltimento dei rifiuti tossici, nel racket e nell’usura, nella prostituzione, negli appalti pubblici. Sfruttano le debolezze della società, trasformandole in opportunità criminali. Ad esempio, la camorra napoletana, sin dagli anni ’50, ha approfittato della povertà per offrire alla gente opportunità di guadagno nell’ambito del contrabbando delle sigarette ed altre attività illecite (Iaccarino, 2010). Nella devianza come scelta deliberata (Taylor, Walton e Young, 1973), le persone scelgono attivamente di compiere un atto deviante in risposta alle disuguaglianze del sistema capitalistico.

Una reciproca convenienza

I numeri sulla vastità del fenomeno sono allarmanti: 161.500 imprenditori pagano il pizzo; 200.000 i soggetti coinvolti in prestiti usurai (Fonte: Sos Impresa, 2011), 33.817 infrazioni inerenti le ecomafie, ovvero costruzioni abusive, sversamento di rifiuti tossici, smaltimento illegale rifiuti, distruzione patrimonio ambientale (Fonte: Legambiente, 2012). Le agromafie comprendono sofisticazione dei prodotti, frodi sui finanziamenti pubblici ed europei, lavoro nero, caporalato, abigeato (reato di furto del bestiame), macellazione clandestina; in Emilia-Romagna, regione d’interesse mafioso per produttività ed economia, sono stati confiscati 12 terreni ai boss (Fonte: Fondazione Libera Informazione, 2012). Le mafie colpiscono ovunque, a prescindere da Nord e Sud, Italia o estero. In conclusione, le mafie si distinguono dalla comune criminalità mediante la creazione di un sistema di rapporti di reciproca convenienza con politica, economia, istituzioni e il mondo delle professioni (Fornari, 2004). Rappresentano un fatto sociale  totale, un’industria della violenza (Franchetti, 1876) che segna il confine tra buoni e cattivi (Durkheim, 1903). Si possono definitivamente contrastare le organizzazioni criminali oppure, vista la portata illimitata del fenomeno, saranno per sempre inarrestabili, pronte a morire per poi resuscitare con nuove formazioni? “Entrare a far parte della mafia equivale a convertirsi a una religione. Non si cessa mai di esser preti, né mafiosi” (Falcone  e Padovani, 1991).

Arianna Caccia

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