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Diritti umani

L’Iran delle vite spezzate ed i musulmani invisibili

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Masha Amini non è il primo caso in Iran di omicidio dello stato, tra i più noti quello del 2009, quando durante le proteste contro il soffocante regime teocratico islamico, era stata uccisa Neda Salehi Agha-Soltan, una ragazza di 26 anni

di Antonio Virgili – pres. comm. Cultura Lidu onlus

 L’uccisione di una giovane donna, e purtroppo successivamente di molti altri giovani, che protestavano in Iran contro l’obbligo di indossare il velo islamico secondo regole consuetudinarie imposte arbitrariamente, e contro la retrograda presenza delle “guardie della morale” religiosa, costituisce un forte richiamo a riflettere sugli integralismi e fanatismi religiosi e sulla laicità dello Stato.   

La scintilla della protesta, come è noto dalle cronache, è stata la morte di Masha Amini, una ragazza di 22 anni che era stata fermata dalle guardie della morale perché non indossava correttamente l’hijab.  La protesta coinvolge attualmente molti giovani e tante donne di tutte le età.  Purtroppo non è il primo caso in Iran, tra i più noti quello del 2009, quando durante le proteste contro il soffocante regime teocratico islamico, era stata uccisa Neda Salehi Agha-Soltan, una ragazza di 26 anni. Di molte altre, uccise, arrestate, torturate o scomparse non si conoscono i nomi e le storie. 

Attraverso il mondo accademico si hanno ora notizie di repressioni di proteste pacifiche, e di alcuni morti, nella Sharif University of Technology, nell’Iran University of Scienze and Technology, nell’University of Tabriz.  Eventi di questo tipo, in Iran come in altri Paesi islamizzati sono abbastanza frequenti, ed anche in Europa ci sono stati casi di ragazze segregate, picchiate o uccise perché risultavano non rispettose della propria tradizione religioso-culturale.  Ma qualcuno potrebbe chiedersi perché soffermarsi su questo tema a fronte di una guerra in atto in Europa, di altre forme di sopruso in varie parti del mondo, di crisi economica e povertà crescente?  Per almeno due motivi: il primo, e più importante, è che tutte le violazioni dei diritti umani meritano attenzione e sono generalmente connesse tra loro, nel senso che dove si calpestano alcuni diritti quasi certamente se ne violano anche altri.  E qui si tratta di violazioni gravissime, oltretutto con motivazioni “morali” inconsistenti. Il secondo motivo è che per decenni, ogni qual volta si è posto il tema dell’abbigliamento femminile nel mondo islamico, si è ripetuto ritualmente che le donne musulmane hanno il “diritto” di indossare il loro abbigliamento tradizionale, che tale abbigliamento non è imposto, e che porre il tema non è altro che una forma di neocolonialismo Occidentale contro l’Islam.  

Quindi risulta oggi sorprendente che in questi giorni ci siano state nei social networks addirittura recriminazioni per la scarsa sensibilità dell’Occidente (sempre questa denominazione generica!) verso questi eventi e verso le discriminazioni che subiscono le donne in Afganistan.  Sorprendente e molto ipocrita, visto che quando in Europa si esprimono riserve sul modo in cui sono trattate le donne in molti Paesi islamici, o si vorrebbe limitare l’obbligo di portare il velo (come in Francia), subito, sistematicamente, si levano voci che parlano di neocolonialismo culturale, di diritto ad indossare gli abiti, di “offese” all’Islam.  

Oramai non sorprende più il sostanziale silenzio dei milioni di musulmani che vivono in Europa, e che si piegano, passivi e invisibili, ai leader religiosi del momento. Oggi così come ieri, quando è stato assassinato il registra olandese Theodoor van Gogh “reo” di aver offeso l’Islam, o quando ci sono stati gli attentati di fanatici islamici in Danimarca, Francia, Germania, ecc. Pure i musulmani non sono un gruppo sparuto in Europa (sebbene probabilmente meno di quanto una parte dell’opinione pubblica immagini), erano infatti 19.5 milioni nel 2010, saliti a 25.8 milioni nel 2016 (in Italia circa 1,5 milioni).  E tra di essi non ci sono solo modesti lavoratori analfabeti ma anche intellettuali ed attivisti politici. Perché questo silenzio?  Quanti si sono schierati a favore del diritto d’espressione?   E il silenzio circa la fatwa contro lo scrittore Rushdie?   Cosa hanno detto riguardo la Turchia dove ancora oggi studenti protestano contro le scelte di forte limitazione della libertà imposte in nome dell’Islam, o quando le notizie sulla repressione di piazza Taksim, del 2013, fecero il giro del mondo? Cosa sulle discriminazioni dei Paesi islamici verso gli Armeni, gli Yazidi, o le stesse minoranze cristiane che vivono in Paesi islamici?   Invisibili, silenziosi o, come forse direbbe Orwell, più semplicemente complici?  

Pure l’ingerenza della religione islamica nella vita sociale e politica dei Paesi è evidente, pure di quelli non arabi, ma islamizzati come l’Iran.  Forse domani si continuerà a narrare che il velo, nelle sue varie fogge, è solo una “libera scelta” delle donne musulmane, che hanno “diritto” ad indossarlo. Come se le donne afgane ed iraniane che stanno subendo arresti ed uccisioni per avere il diritto a non usarlo fossero inesistenti, anch’esse invisibili.   

    Si continua a sentir ripetere, con modalità che rasentano la paranoia, tutto il negativo possibile contro l’Occidente (!?).  Negare la realtà sembra oramai prassi diffusa in molti contesti, una sorta di manipolazione permanente che riguarda non solo il presente, ma anche il passato, a proprio uso ideologico.  Le vie della pace, del dialogo e del rispetto dei diritti non sono però quelle lastricate di propaganda, di rancore, di recriminazioni, secondo le quali Europa ed Occidente (usando la denominazione approssimativa ma diffusa) sono le uniche fonti del male, della violenza, dello sfruttamento, della manipolazione culturale.  Per citare un esempio di manipolazione storico-mediatica, è “normale” parlare della tratta degli schiavi intendendo quella degli europei, come se ci fosse stata solo quella.  

Ma anche la storia dell’Islam ha avuto una sua tratta degli schiavi.  La tratta araba degli schiavi coinvolse, in alcuni secoli, oltre 16 milioni di persone, prevalentemente africani, ma anche europei (oltre un milione). Invisibili anch’essi, evidentemente.  Questo atteggiamento ritualmente accusatorio contro i non islamici non aiuta la serena collaborazione sui tanti temi comuni che lo richiederebbero, da quelli ambientali alla tutela dei diritti fondamentali, ovunque nel mondo.  Proprio come il diritto delle ragazze afgane a studiare e quello delle bambine nigeriane, imbottite di esplosivo da Boko Haram, a vivere.  

    I temi del fanatismo, dell’integralismo, dell’uso strumentale della religione come arma di guerra, delle religioni di Stato che possono divenire strumento di violenza e repressione – come sta accadendo in Iran – evidentemente non sono ancora superati.  Non sono problemi e temi del passato. Come migliaia di giovani iraniani stanno testimoniando a rischio delle proprie vite, sono invece ancora molto presenti e richiedono costante attenzione.  Attenzione ed uno sforzo comune di dialogo e confronto, al quale partecipino tutti, per il superamento dei tanti pregiudizi che motivano i comportamenti, specie se presentati quasi come di origine “divina”. 

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